Luigi Guelpa, Il Giornale 30/9/2013, 30 settembre 2013
IL SEGRETO DELLA CINA: REGALARE I PANDA PER FARE AFFARI D’ORO
Ci aveva provato persino Putin, regalando a Chavez un terrier nero, noto anche come «cane di Stalin». Il comandante apprezzò il dono, ma morì poche settimane dopo mandando in fumo possibili accordi petroliferi tra i due Paesi.
Resta il fatto che la Cina, con la sua «diplomazia dei panda» sta facendo scuola. Per più di mezzo secolo Pechino ha utilizzato i suoi simpatici ursidi per cercare di favorire i rapporti con altre nazioni. La loro presenza nei giardini zoologici può davvero fare la differenza, garantendo importanti introiti finanziari. La Cina però non vuole più regalare o prestare panda per assicurarsi strette di mano, ma sta passando alla cassa. Nei giorni scorsi una quindicina di cuccioli di panda giganti sono stati allevati in un centro di ricerca nella provincia di Sichuan per essere destinati ad altrettanti Paesi. Non c’è nulla di casuale in ciò che accade nei laboratori genetici. Si ricorre persino all’intervento biologico pur di arrivare all’obiettivo finale: ottenere in cambio materie prime per mantenere in vita un’economia sempre più famelica di carbone, uranio e petrolio. Lo sostiene un gruppo di ricercatori di Oxford presentando i risultati di uno studio pubblicato dalla rivista scientifica Environmental Practice. I ricercatori hanno esaminato tutti i prestiti di esemplari di panda avvenuti nell’ultimo mezzo secolo, concentrandosi però sugli scambi effettivi avvenuti dal 1991 (a Londra). Cedendo questi mammiferi la Cina ha strappato accordi commerciali di vitale importanza.
Prendiamo ad esempio lo zoo di Edimburgo, diventato celebre con l’arrivo del panda gigante Tian Tian e dell’imminente cucciolata. Non è un caso, come ricorda la dottoressa Kathleen Buckingham, che la Scozia abbia firmato con Pechino accordi commerciali per il salmone, le energie rinnovabili e la fornitura di veicoli Land Rover. Contratti per un valore di circa 4 miliardi di dollari. I panda allo zoo di Madrid hanno facilitato l’acquisto del 40% di azioni Repsol che erano in mano agli iberici. I prestiti dei mammiferi a Canada, Francia e Australia coincidono con le offerte commerciali per l’uranio, di cui la Cina ha bisogno per consentire di aumentare la propria capacità nucleare entro i prossimi trent’anni. Uranio che però la Cina sta «saccheggiando» anche in Tanzania, ma con un sistema ben diverso. A quelle latitudini il governo di Pechino si è impegnato a costruire strade sulla tratta Dar es Salaam-Mwanza e una nuova centrale elettrica. Un’operazione che i cinesi hanno condotto a costo zero, sfruttando il lavoro dei prigionieri politici dei famigerati Laogai, mandati in trasferta. Lo stesso meccanismo è stato adottato in Angola (stadi di calcio in cambio di petrolio), Etiopia (caffè per la linea ferroviaria Addis Abeba-Gibuti), Benin (centrale elettrica per il cotone) e Togo (elettricità permutata con la radica). E chi non consegna nei tempi stabiliti le materie prime si vede tagliare la corrente elettrica.
La Cina sistema con il «baratto» persino le necessità diplomatiche. Chi sceglie di interrompere i canali con Taipei viene lautamente ricompensato. La presidentessa del Costarica Laura Chinchilla si è vista consegnare, chiavi in mano, uno stadio da 140 milioni di dollari. La Croazia salutando Taiwan ha rivoluzionato in pochi mesi la propria rete autostradale.