Furio Colombo, Il Fatto Quotidiano 30/9/2013, 30 settembre 2013
LA GUERRA MITE DEL GENERALE MINI
Fabio Mini è un caso raro di militare scrittore. Non perché il genere sia nuovo. Ma per una certa lieve serenità che scorre sulle sue pagine. Eppure sono pagine sulla guerra (La guerra spiegata a..., Einaudi pag. 164) che cominciano con queste parole: “Mi chiedo spesso perché si debba spiegare qualcosa di ovvio come la guerra, che riempie le biblioteche, le cronache le fantasie”. Ecco, è in quella parola, “ovvio”, che Mini trova il percorso (e il linguaggio) originale di questo suo scrivere in cui l’autore, che è un militare con molte missioni nel mondo alle spalle, compie tre mosse felici.
CON LA PRIMA ci fa sapere che tutta la sua carriera non fa di lui un esperto. Infatti dimostra fin dalle prime pagine del libro che questo tipo di vanto è improprio, tanto quanto dichiararsi esperto della realtà o della vita, solo per il fatto di essere vivi. Con la seconda lui, militare, che dovrebbe essere tutto fatti provati e basta, segue invece (una pura ma illuminante coincidenza) il percorso intellettuale di chiedersi - sezione per sezione del libro - che cosa è la guerra. In questo modo resta accanto all’ordigno senza farlo esplodere (la metafora è del recensore) ma non ne diventa mai il finto e poco credibile oppositore o il realistico, antico campione della frase ancora più ovvia che ripete “la guerra è guerra”. La terza mossa è il pensare umanistico piuttosto che tecnico. Infatti noto la curiosa affinità del procedere di Mini verso la guerra con quello di Luciano Berio quando si è messo al lavoro sulla musica, rivolgendo a tutti, compositori, esperti, amici, la domanda: “Che cosa è la musica” (e ricavandone un bellissimo programma televisivo, C’è Musica e Musica, 1972 ).
Mini non dice, non dice mai: “C’è guerra e guerra”. Vede e considera come tanti oggetti diversi i vari modi di sentire o volere o chiedere o accettare la guerra, passando anche da Tommaso d’Aquino o da Machiavelli o dalla Harvard Kennedy School of Government. Resta però sempre accanto, mai dentro l’oggetto osservato, e in questo senso, nonostante il buon linguaggio umanistico, appare scienziato fedele all’ammonimento: conoscere ma mai alterare il fenomeno.
Mini riesce a imporsi di stare lontano dalla celebrazione e dallo scandalo. In compenso la sua analisi è precisa e necessaria, due caratteri desiderabili nella poesia e nella medicina. E infatti c’è qualcosa di lieve e di perentorio nel suo linguaggio che spinge a seguirlo volentieri come si segue una bella voce.
Con lui si scopre che nulla è stato mai predetto dei o sui conflitti, che la politica è la madre di tutte le guerre. E che la mente umana può ben di più che distruggere. I diritti umani possono essere la nuova frontiera (la nuova strategia) della mitica sicurezza.