Anais Ginori, la Repubblica 29/9/2013, 29 settembre 2013
SIMENON ON THE ROAD
Quando parte è deciso a incontrare l’uomo qualunque. Questa è la volta buona, ne è sicuro. Quella terra a lui quasi sconosciuta sarà l’ultima tappa del suo viaggio intorno alla gente comune, la più decisiva.
L’Amérique en auto è l’ultimo grande reportage firmato da Georges Simenon. Conclude il ciclo iniziato con i racconti di Une France inconnue ou l’aventure entre deux berges, quando aveva navigato per sei mesi sui canali francesi. Al posto della barca Ginette c’è una Chevrolet, con la quale percorrerà oltre cinquemila chilometri, lungo la Route 1, dal Maine alla Florida. Lo stile rimane quello usato nelle cronache degli anni Trenta, ovvero l’attenzione verso le petites gens, l’uomo qualunque, Monsieur Tout-Le-Monde.
Si intitolava così la serie a puntate su France Soir tra il 5 e il 22 novembre 1946, ora raccolta in un volume da Le livre de poche.
Un viaggio che segna una nuova vita per Simenon, immigrato l’anno prima nel New Brunswick, in Québec.
Nonostante il successo letterario il papà di Maigret vuole lasciarsi alle spalle i postumi della guerra. L’America è un nuovo inizio anche dal punto di vista personale. Insieme a lui, ci sono la moglie Tigy e il figlio Marc, sette anni. Ma c’è anche Denyse Ouimet, la giovane segretaria conosciuta a New York un anno prima. Tra loro c’è già una relazione che porterà alla nascita di John e al nuovo matrimonio, nel 1950. Questo strano triangolo amoroso si lancia dunque alla conquista del «paese delle libertà». Dorme in una mobile home, ammira le villette a schiera e i prati perfettamente tosati, mangia in un drive in, si nasconde in un rifugio mentre passa un uragano. Nel suo taccuino, Simenon annota prezzi, nomi, luoghi. Ogni dettaglio. Si commuove a Cape Cod, ricordando il naufragio del Mayflower. «Il popolo americano non è un’entità, ma una famiglia in cui ognuno ritrova il suo pedigree». Passando nel Bronx, vede la «spaventosa miseria» del quartiere. A Washington ha l’impressione di entrare in una corte, ma «una Corte democratica, in cui l’onnipotente Presidente abita una casa bianca non molto più grande delle altre». Il figlio Marc frequenta per qualche giorno una scuola pubblica e Simenon osserva il principale insegnamento impartito: «Il concetto d’inferiorità è il nemico numero uno. Viene estirpato scientificamente come un dente malato che contaminerebbe poi lo stomaco, l’intestino, il fegato. Il concetto d’inferiorità produce solo gente inacidita, inadeguata, infelice».
A poco a poco è conquistato, riconosce una civiltà in qualche modo superiore. Elogia i valori degli Stati Uniti: l’individualismo, la tolleranza, persino la diffidenza verso lo Stato. Simenon scopre un paese di «uomini senza incubi» così lontano dalla cupa Europa. «Qualche verità stabilita una volta per tutte e una fiducia illimitata nel destino dell’uomo e in quell’America». Una società aperta dove «ognuno ha il diritto di pensare altrimenti», «la contraddizione è salutare », e dove vanno bene anche le risse «perché è così s’impara a vivere». Nel decennio trascorso in America, scriverà la bellezza di quarantotto libri. Ma alla fine, anche l’entusiasta Simenon tornerà nella sua vecchia Europa, portando con sé l’insanabile nostalgia per la «terra del sorriso».