Alain Elkann, La Stampa 29/9/2013, 29 settembre 2013
INTERVISTA A GIANBATTISTA VALLI STILISTA
Domani al Jeu de Paume di Parigi verrà presentato un bellissimo libro pubblicato da Rizzoli, «Giambattista Valli». Nella primissima pagina il disegno di un paio di forbici di Alighiero Boetti, e poi un’introduzione di Francesco Clemente, un capitolo sulle ossessioni con un testo di Lee Radziwill, un altro sull’ispirazione di John Galliano. E di Diane Kruger sugli schizzi, Silvia Fendi sui fitting, Franca Sozzani e Hamish Bowles su backstage e haute couture. Di cosa si tratta esattamente, Giambattista Valli?
«Direi di un libro sul “work in progress”, un volume senza un vero inizio o una vera fine che descrive chi sono e il mio modo di pensare».
Come sarà la sua sfilata quest’anno?
«Questo prêt-à-porter è un po’ il riassunto del mio libro e delle mie ossessioni. Ogni nuova collezione è un capitolo dello stesso libro».
Francesco Clemente dice che nel suo lavoro c’è una certa fragilità...
«Penso intenda che c’è una forma di sensibilità e una fragilità preziosa, positiva».
Perché Lee Radziwill, nel capitolo «Obsession», dice che lei ha un’ossessione per la bellezza e la perfezione?
«Sono sempre attratto dalla bellezza, la cui migliore espressione è essere profondamente se stessi, non una bellezza “estetica” ma di espressione, di gesto, interiore. Più che la perfezione - desiderabile ma irraggiungibile - mi piace arrivare al limite più pericoloso, estremo. Un po’ come le colonne d’Ercole».
Un gusto imparato da Capucci, dove ha lavorato due anni, o da altri maestri?
«Ho lavorato con Capucci e con Ungaro a Parigi: persone estremamente rigorose ed esigenti, prima ancora che con gli altri, verso se stessi».
Lei è romano, ha studiato a Londra, alla Central Saint Martins School of Arts. Perché ha scelto Parigi?
«La Francia ha un rispetto culturale molto forte per la moda, di cui protegge il sistema e gli stilisti. La moda qui è cultura e tradizione: è raggruppata nell’universo delle arti. In Italia ancor oggi non vi è da parte dei media e dell’opinione pubblica la stessa attenzione per un’arte che è una delle primarie fonti economiche del Paese. Mi stupisce che - giustamente - lo sport riceva l’attenzione che dovrebbe ricevere anche la moda».
Ci sono altri motivi per aver scelto Parigi?
«Sì, perché amo molto quella che era una volta l’idea delle maison come Yves St. Laurent, Coco Chanel, Christian Dior. Nel 2006 ho creato la mia maison partendo prima da un piano, oggi ne abbiamo tre in Rue Boissy-d’Anglas, la casa dove visse un altro Giambattista italiano, Giambattista Lulli, musicista del Re Sole».
Lei è uno dei pochi stilisti indipendenti: la sua maison non è posseduta come altre da grandi gruppi?
«Non è né posseduta né finanziata, ma si sviluppa da sola piano piano. È importante la nascita di un nome, di un pensiero, di uno stile in modo indipendente».
Lei si considera uno stilista italiano o francese?
«Sono un creatore parigino di nazionalità non francese, come Cardin, Ungaro o Balenciaga, che era spagnolo. Parigi è una vetrina internazionale molto ampia ed eclettica: accoglie la qualità creativa, e talvolta, come nel mio caso, il sostegno francese mi ha concesso la denominazione Haute Couture».
Nel suo libro riproduce immagini di artisti come Manzoni, Pascali, Schifano: fanno parte della sua ispirazione?
«Sono soprattutto la mia ossessione, come l’arte povera e il cinema italiano fine Anni 50/60 di Fellini, Antonioni, Monica Vitti. Un momento di affermazione internazionale importante per l’Italia».
Come si ripercuote tutto questo sul suo lavoro?
«È una forma, una sintesi, un modo di pensare una materia e poi il senso enigmatico della donna».
E come sono le sue donne?
«La donna Valli è estremamente indipendente nel suo pensiero, non vuole assomigliare a nessuno, è una donna che sceglie in modo personale. Quando disegno le collezioni osservo attraverso lo sguardo del potenziale uomo accanto alla mia donna. La donna Valli non è una bulimica consumatrice di moda, si veste per il piacere di condividere».
Come mai nel sul libro c’è anche una poesia di John Galliano?
«Siamo molto amici dagli anni di Londra, tra noi c’è molta stima. John mi ha sempre ispirato. Gli ho chiesto di partecipare pensando fosse la miglior persona per poter spiegare il capitolo sull’ispirazione e il suo funzionamento, l’ansia, l’insicurezza che ha lo stilista finché non trova l’ispirazione. Ma anche quel momento di euforia quando poi arriva l’ispirazione».
E poi?
«Si è di nuovo daccapo, ci si sente orfani e si cerca una nuova ispirazione».
Lei non si sente solo, visto che non appartiene a nessun gruppo?
«Non ho paura. È una passione con momenti duri e altri straordinari. È un privilegio, ma anche un progetto economico che ho la fortuna di condividere con persone di qualità come Mario Bandiera. Coscienti di non essere medici senza frontiere, non salviamo vite umane ma possiamo contribuire ad animare un sogno».