Marco Mensurati, la Repubblica 30/9/2013, 30 settembre 2013
IL VERO RUSH
Sullo schermo scorrono i titoli di coda, e una lama di luce taglia una manciata di volti senza espressione allineati in fondo alla sala. Qualcuno scuote la testa. Qualcun altro si lascia sfuggire un «mah» di perplessità. Tutt’intorno l’entusiasmo per Rush, l’ultima fatica di Ron Howard, quella che racconta la storia del mondiale del ’76, della rivalità tra Lauda e Hunt, è più che palpabile, qualcuno si è addirittura lasciato scappare un applauso. Ma l’umore di quella fila lì in fondo è diverso. A loro il film non è piaciuto.
Loro, quel mondiale lì, non l’hanno visto in televisione, l’hanno vissuto. Anzi, di più: l’hanno animato. “Loro” sono i ragazzi del ’76, i meccanici del box Ferrari che quel sogno agonistico hanno reso possibile. Il Cuoghi, l’Iseppi, il Corradini e gli altri. Meccanici con le facce da meccanici e la parlata da tombeur de femmes, ceffi da pit lane invecchiati benissimo sotto i baffi, come certe Alfa Romeo. Quando hanno saputo che la Ferrari offriva ai propri dipendenti la proiezione di Rush all’auditorium Enzo Ferrari, a Maranello, non hanno avuto dubbi e si sono dati appuntamento. E però la serata non è andata come si aspettavano. Perché «quell’Howard lì non ci ha preso».
Fanno crocchio, dopo lo spettacolo, e con una compattezza tipica delle grandi squadre, bocciano tutto. Il più severo è il Cuoghi. Ermanno Cuoghi, mitico capo meccanico di Niki Lauda. «Più che capo meccanico - precisa - suo grande amico. Per seguire Niki a un certo punto ho persino lasciato la Ferrari ». Baffoni alla Hulk Hogan, voce da baritono e accento modenese doc, Cuoghi cerca di non essere inelegante: «Capisco che è un film... Il fatto è che la storia è proprio diversa dalla realtà. Io non sono uno che va spesso al cinema, ma credo che un film debba rispecchiare la complessità dei personaggi e delle loro storie. Ecco in questo caso non è stata rispettata. Niki e Hunt non si odiavano affatto. Non erano nemmeno nemici. Certo, quando si calavano la visiera sul casco volevano vincere, però, insomma conoscendo i fatti come sono andati, no, non mi è piaciuto». Bruno Iseppi, altro meccanico di Lauda è ancora più deluso: «C’è quest’alternanza tra realtà ed esagerazione che dà fastidio ».
L’elenco delle rimostranze del gruppo lo fa il Cuoghi. «Il primo problema è l’incidente». L’incidente è ovviamente quello del Nürburgring, dove Lauda rischiò la vita e perse le sembianze, divorate dalle fiamme della sua Ferrari. «Io ero lì quando è avvenuto, è stato terribile. Mi aspettavo di vedere le scene di lui che torna a guidare a Fiorano, oppure di vedere quello che davvero successe a Monza, le sue sofferenze, le riunioni prima delle sessioni nelle quali gli tagliavamo l’imbottitura del casco per evitare che andasse a contatto con le ustioni. E invece niente. Hanno sbagliato persino il casco, quell’anno Niki aveva un contratto con l’italiana Agv e invece loro gli mettono in testa un americano Bell: e non è un dettaglio perché se il volto di Niki venne divorato dalle fiamme è proprio perché perse, inspiegabilmente, il casco».
In realtà, Howard avrebbe potuto provare a indagare di più sui sensi di colpa di Hunt, che non furono pochi nel resto della stagione, assicurano. E però la cronaca è stata spazzata via dal romanzo. «Tutto Lauda è stato costruito in maniera diversa dalla realtà. Lui era un grandissimo collaudatore, e questo è vero, “sentiva” cose di cui altri piloti nemmeno si accorgevano, però era molto meno tecnico di come viene descritto e, insomma, non si inventava le sospensioni!». E anche molto meno maleducato: «‘Sto dito medio che ritorna... Ma quando mai. Anche i problemi con la famiglia sono stati caricati. Abbiamo vissuto insieme sette anni, mai visto niente di quello che viene raccontato». Qualche problema ce l’ha pure il personaggio di Hunt: «Troppo puttaniere, troppo scatenato. Sì, aveva un concetto del comportamento un po’ diverso dagli altri piloti, ma era pur sempre un grande professionista». Pietro Corradini, che al tempo era addetto alla macchina di Clay Ragazzoni, è un po’ più clemente: «Va detto che era molto difficile rendere bene la realtà di quello che fu quella stagione». «Sì - ribatte Cuoghi - però un conto è enfatizzare le cose, un conto è tradirle».
Dice così, il Cuoghi, e il suo mento va quasi involontariamente nella direzione di un gruppetto di ragazzi che esce dalla sala. Avranno una trentina d’anni, o poco più. Sorridono. A loro il film è piaciuto. «Ma sì - sospira - forse alla fine è un bel film, per uno che non c’era».