Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  settembre 30 Lunedì calendario

ELTON JOHN: “HO SCOPERTO I FIGLI SONO MEGLIO DELLA MUSICA”


Per oltre quarant’anni è stato una superstar dai molteplici eccessi, ma ora dice che la paternità lo ha calmato e che non è mai stato più felice di adesso. Dopo più di 40 anni trascorsi all’apice della sua professione, Sir Elton John, lavoratore instancabile che si esibisce regolarmente in centinaia di concerti l’anno e ha venduto l’incredibile cifra di 250 milioni di dischi, ha deciso che è arrivato il momento di rallentare. La paternità e la salute, hanno convinto una delle leggende del rock, ormai 66enne, a riprendere in considerazione la sua vita e a trascorrere meno tempo in viaggio.
Con David Furnish, suo partner da 20 anni, Elton è padre di due bambini piccoli, Zachary di due anni ed Elijah di nove mesi. Il suo trentesimo album da solista, “The Diving Board” – appena uscito – è uno dei più belli della sua carriera. Era già ultimato quando è stato in ospedale all’inizio di agosto per l’intervento d’appendicite. Alcune canzoni paiono quasi premonitrici.
«Credo moltissimo nel detto “tutto accade per un motivo”. Quando ho avuto l’appendicite stavo lavorando tanto e da molto tempo. Sono dedito in modo maniacale al lavoro. L’anno scorso ho fatto 124 show – questo significa che ho preso 200 voli – ma ho detto a David che non ho più bisogno di lavorare così tanto. La malattia è stata un segnale. I miei figli mi accompagnano ovunque. Ma quando saranno più grandi, intendo accompagnarli a scuola io stesso. Quindi voglio prepararmi uno stile di vita adeguato per quel momento. Ho 66 anni. Basta! Ma sono entusiasta del disco».
Che cosa l’ha spinta a fare oltre 100 esibizioni in un anno? Ovviamente non ha bisogno di soldi…
«Be’, non mi poteva bastare un unico mazzo di fiori, un’unica pista di coca, un unico drink o un solo paio di scarpe. È qualcosa di connaturato. Sono un fanatico. L’unica forma di dipendenza che non ho mai avuto, è stata il gioco, grazie a Dio. Sono dipendente in modo maniacale dal lavoro. Non sono obbligato a esibirmi e suonare in 124 concerti l’anno, ma mi piace. Ecco perché la canzone Home Again significa così tanto per me. Quando ritorni a casa e ti siedi in cucina è magnifico. Sento l’odore della mia famiglia, sento l’odore della mia casa».
Lei è padre di due bambini piccoli. Come ha cambiato la sua vita la paternità?
«Avere figli – e pensavo che alla mia età doveva essere una bella sfida – è una vera delizia, una meraviglia. Niente di tutto ciò che credevo che avrei detestato del fatto di avere figli – i pianti, le urla – mi dà fastidio. Per me è rilassante. È bello avere in casa un bambino al quale rivolgere le tue attenzioni. Non conti più tu, tutto ciò che conta è quell’adorabile esserino. Quando poi è arrivato Elijah… È stato magnifico per entrambi, per me in particolare. Quando ho scritto quelle canzoni credo che nel subconscio fossi veramente rilassato e lo si sente».
La gente immagina che lei e David abbiate aiuti per i bambini. Però vi siete anche molto impratichiti, vero?
«Abbiamo una bambinaia, ma i bambini sono molto gestibili e vengono con noi ovunque. Zachary è stato due volte in Australia prima di compiere l’anno di vita ed è stato due volte anche alle Hawaii. Questa è la cosa magnifica dei bimbi piccoli: possono seguirti».
È consapevole che ai suoi figli lascerà un’eredità artistica, e non soltanto materiale?
«Non voglio che i miei figli debbano dipendere da quello che lascerò loro o che lascerà loro David. Dovranno trovare la loro strada nel mondo. Dovranno guadagnarsi la paghetta e capirne il valore. Io provengo da una famiglia della classe operaia. David e io abbiamo entrambi lavorato negli stessi posti di lavoro che oggi offriamo ad altri. Vogliamo che i nostri figli prima di mettersi in tasca qualche soldino dovranno occuparsi del giardino e lavare la macchina. Per quanto riguarda la musica non vedo l’ora di portare Zachary a un concerto o al cinema a vedere Il re leone. Per ora l’ho portato a una delle finali dei play-off di Wembley ed è stato un angioletto. Ma ha soltanto due anni, quindi non riesce a stare concentrato a lungo. Però gli piace ascoltare la musica. E io canto per lui. Cresce circondato dalla musica, come me, e quindi di sicuro avrò una certa influenza su di lui».
Quali canzoni cantate insieme?
«La canzone di Zachary è sempre stata Zip-A-De-Doo-Dah (canzone della Disney in parecchi film, ndt), ma noi l’abbiamo modificata in Zachary-doo-dah, mentre con Elijah cantiamo Delilah, anche se diciamo My, my, my, Elijah (entrambe le varianti giocano sulle assonanze, NdT)».
Credi che avere bambini ti abbia addolcito?
«Sì, prima ero molto impulsivo, ma non è possibile essere impulsivi e avere bambini intorno. E non è accettabile neanche alzare la voce con loro. Capiscono bene quando hanno combinato una monelleria o perché devono andare in castigo. E io non alzo mai la voce con loro. Oggi sono più maturo. Con il mio partner quest’anno festeggiamo 20 anni insieme. Non c’è nulla di cui io possa lamentarmi. Se riguardo il documentario Tantrum & Tiaras mi viene da ridere. Mi comportavo così male… Ma quello ormai è il passato».
Che pensa di David Bowie che ha fatto un album ma non andrà in tournèe: si sta tirando indietro?
«Quell’album (The Next Day) è l’album meglio concepito e meglio commercializzato che io abbia mai sentito. È stato molto commovente che David abbia fatto uscire il suo singolo nel giorno del suo compleanno insieme a un video molto bello. A un certo punto è stato molto malato, ma in qualsiasi foto io lo veda ritratto – non gli ho mai parlato – sembra sempre felicissimo. Ci sono altre cose al mondo oltre al fatto di andare in giro a suonare. Forse un giorno lo farà, non lo so, ma così ha molto più carisma, è avvolto dal mistero. Di questi tempi tutti sanno tutto di tutti. Io non sono su Twitter, non sono su Facebook e non ho neppure un telefono cellulare. Personaggi come Paul McCartney, Bowie e Madonna hanno un’aura mistica perché non si vedono sempre. Se invece sei su Twitter o su Facebook 24 ore al giorno per sette giorni alla settimana non sorprendi più nessuno. Gli artisti devono stare attenti a quello che fanno da questo punto di vista».
Ormai si può dire che ha una scuderia di successo da gestire con Ed Sheeran, Lily Rose Cooper e gli adolescenti irlandesi The Stripes.
«Gli Stripes sono prodigiosi. Sono i più contagiosi che io abbia mai sentito dai tempi dei Beatles. È come se venissero da un altro pianeta. La maggior parte dei ragazzi della loro età vuole essere come gli One Direction, Justin Bieber o Justin Timberlake. Loro no».
Lei deve avere ricordi formidabili. Basterebbe quell’ultima volta che John Lennon suonò su un palco: fu insieme a lei, nel 1974.
«Già, ed Elizabeth Taylor fece la sua ultima comparsa in televisione o in un video con me girando il video di Original Sin. Se mi soffermo a pensare a tutti questi ricordi è davvero sbalorditivo. È proprio vero: non voglio riposare sui miei allori, ma di sicuro ne ho di storie da raccontare ai miei figli!».

(Copywright “The Mirror// The Interview People” - La Repubblica Traduzione di Anna Bissanti)