Federico Rampini, la Repubblica 30/9/2013, 30 settembre 2013
L’AMERICA CHIUDE, FINITI I SOLDI PER I SERVIZI
CHIUSA per mancanza di fondi: da domani sera l’America fa la serrata. Salvo un miracolo dell’ultima ora, che ormai sembra improbabile.
L’AMMINISTRAZIONE federale del Paese più ricco del mondo non avrà più soldi per pagare stipendi, erogare servizi essenziali. Comincerà un razionamento doloroso, scegliendo di interrompere per primi i servizi da cui non dipendono vite umane, o diritti acquisiti come le pensioni. Chiuderanno i parchi nazionali, resteranno aperti i reparti di pronto soccorso. Lavorerà la polizia, ma non gli ispettori che controllano la sicurezza delle auto. Tutto il personale della Nasa starà a casa senza stipendio, come anche i magistrati di turno che decidono sulle richieste di libertà condizionale e i permessi per buona condotta ai carcerati.
Tutto questo prelude a una crisi ancora più grave, il default tecnico del Tesoro, la cui data è fissata al 17 ottobre. Non che l’America sia davvero in bancarotta. La crisi attuale è tutta politica. Il bilancio dell’Amministrazione federale è “prigioniero” del Congresso, a sua volta paralizzato dallo scontro destra-sinistra. Da sempre, le leggi di tassazione e di spesa devono ottenere un via libera parlamentare. Ma la dialettica politica raramente aveva raggiunto gli estremi di questi giorni: con il partito repubblicano pronto a paralizzare il settore pubblico pur di danneggiare Barack Obama. Votazioni che un tempo erano di routine, automatiche e largamente bi-partisan, perché si trattava di rinnovare leggi di spesa pre-esistenti o di autorizzare il rifinanziamento sui mercati con emissioni di titoli pubblici, oggi sono diventate lo strumento di una partita distruttiva. I repubblicani hanno deciso di puntare in alto: abrogare la riforma sanitaria di Obama è il prezzo stabilito per dare un sì al rifinanziamento dei servizi pubblici. Da ieri è sul tavolo un’opzione un po’ meno “nucleare”: rinviare di un anno l’entrata in vigore della riforma sanitaria, altrimenti ogni spesa pubblica resta congelata, e il Tesoro dal 17 ottobre non avrà possibilità di emettere titoli. O ancora, abolire alcune tasse necessarie per la nuova sanità.
Obama ha già detto che userebbe il veto presidenziale contro una legge che affondi la sua riforma più importante, quella che ha esteso l’assistenza sanitaria obbligatoria a 34 milioni di cittadini che ne erano sprovvisti. La maggioranza democratica al Senato è allineata con il presidente. Dunque non si arriverà neppure al veto: la legge votata dalla destra alla Camera arriva già “morta” in seconda lettura al Senato. Salvo un compromesso a sorpresa, in extremis. La ragione per cui i democratici non accettano neppure di rinviare di un anno la riforma Obama: non solo questa normativa sanitaria ha già atteso tre anni dopo la sua approvazione al Congresso, ma i democratici sono convinti che una prima vittoria contro “Obama-care” (come viene definita la riforma) rafforzerebbe l’ala oltranzista della destra che a quel punto vorrebbe andare fino in fondo, fino alla distruzione totale dell’odiata legge “socialista”. Il rifinanziamento dei fondi di dotazione di tutti gli altri ministeri e agenzie federali è appeso a questo scontro. Una contrapposizione manichea, che secondo molti osservatori sta rivelando una crisi più profonda della democrazia americana: la scomparsa delle intese bipartisan, l’estinzione di quel “centro politico”, moderato e pragmatico, dove si negoziavano compromessi.
I repubblicani rischiano grosso, perché i sondaggi indicano che la paralisi dei servizi pubblici – ancorché parziale – è impopolare e i cittadini ne darebbero la colpa a loro. Tuttavia la destra è convinta che valga la pena affrontare la tempesta pur di portare avanti una guerra totale contro la riforma sanitaria, anch’essa impopolare. La “nuova sanità” è un oggetto misterioso, di cui molti americani diffidano anche perché non hanno capito come funzioni, non ne hanno sperimentato né i benefici né gli eventuali svantaggi.
Se lo scontro muro contro muro persiste, da domani sera avremo un assaggio della vera crisi. Le chiusure di uffici pubblici scatteranno gradualmente, risparmiando la polizia, i controllori di volo e altre funzioni definite “essenziali per la sicurezza”. L’altro appuntamento sarà sulla legge necessaria per alzare la soglia del debito pubblico. Se anche quella verrà boicottata dai repubblicani, il Tesoro ha preannunciato che il 17 ottobre entrerà in un default tecnico: mancanza di liquidi per pagare i fornitori. Mentre lo “shutdown” o chiusura degli uffici è già avvenuto nel 1995 e 1996 sotto Bill Clinton, il default sarebbe davvero un evento senza precedenti nella storia.