Pa. Po., Corriere della Sera 30/9/2013, 30 settembre 2013
UN PICCOLO LOUVRE PER LE SCARPE DI ROGER VIVIER
Centoquaranta modelli che hanno scritto una buona fetta della storia della moda. Da domani e sino al 18 novembre le creazioni più belle di Roger Vivier, l’inventore del tacco a spillo e di molte altre forme, saranno in mostra al Palais di Tokyo, a Parigi. E con quelle scarpe anche l’allure di chi le indossava e indossa: dalla regina Elisabetta alla duchessa di Windsor, Marlene Dietrich, Elisabeth Taylor, Jeanne Moreau, Brigitte Bardot, Catherine Deneuve. Olivier Saillard, uomo di grande cultura e charme, direttore del Galliera, il primo museo dedicato alla moda, adorato da tutta Parigi, è il curatore di questa eccezionale retrospettiva che per la prima volta riunisce gran parte del lavoro di Vivier, pazientemente raccolto dalla maison, da privati, musei e dall’archivio. Un allestimento sui generis, di cui Saillard va molto fiero.
Ma la moda nei musei non è un controsenso? «Tutto il mondo dice sempre un sacco di cose sbagliate. Roger Vivier è stato un artista della bellezza, per me le calzature che ha creato con quelle forme così incredibili sono come opere d’arte». E dunque? «Ho chiesto e ottenuto di poter creare una specie di museo che fosse un piccolo Louvre, o un Prado: una scenografia importante dove le scarpe si mostrano come fossero opere». Ambiziosa considerazione, l’oggetto in sé nasce per essere consumato, usato, finito e non da conservare «per sempre»: «Pensiamo allora anche alla scarpa come un oggetto del ricordo. Evoca molte più cose di quante si possa immaginare. Racconta un’epoca, uno status, una storia, un momento. E forse anche più di un vestito perché per assurdo lascia libero il couturier di creare a prescindere per esempio dalle forme di un corpo».
L’allestimento non lascerà dubbi sull’ispirazione, ad ogni pezzo sarà dato il nome di un’opera a cominciare dalla «Gioconda», che è la «Virgule», uno dei cavalli di battaglia di Vivier, con quel tacco a virgola che sfidò (e sfida, perché è tutt’ora il pezzo forte della collezione disegnata da Bruno Frisoni, di cui sono esposti alcuni modelli e disegni) le leggi di gravità. «Sarà ricreata una certa atmosfera con vetrine del XIX secolo: la perfetta allegoria di un museo. Ma né un video, né un’installazione, né un intervento interattivo». Le nuove generazioni però sono abituate a interagire con l’esposizione: «Io credo invece che il rapporto con l’opera sia una faccenda personale che non dovrebbe subire alcun intervento esterno. A me piace che la vita scorra attraverso lo sguardo curioso del visitatore. Detesto gli occhi da pesce morto imbambolati davanti un video o cose del genere!». Museo primo amore? «Avevo vent’anni e scelsi di fare l’obiettore di coscienza: mi mandarono al Musée des Arts decoratifs, insomma feci il militare fra gli chiffon e lì restai!».
Pa. Po.