Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  settembre 30 Lunedì calendario

BENVENUTI NELLA SHANGHAI «LIBERATA» PROVE DI DEMOCRAZIA (FINANZIARIA)


La scritta rossa in cinese e inglese annuncia: «China (Shanghai) Pilot Free Trade Zone». Il cartellone a forma di arco, a cavallo della superstrada a otto corsie, è il segno più chiaro della grande novità: la Cina ha lanciato la sua prima zona pilota di libero scambio. Intanto è stato liberato l’arco, che era rimasto ingabbiato dalle impalcature per giorni (mentre a Pechino il partito dibatteva in segreto): da questa porta si entra in una striscia di capannoni industriali, magazzini, grattacieli, sedi di multinazionali, banche e moli portuali che si estende su 28 chilometri quadrati a Est di Shanghai. In questi 28 chilometri quadrati il governo cinese promette di lanciare una nuova fase di riforme di mercato.
La «Zona pilota» di Shanghai è stata inaugurata ieri, ma in Cina se ne parla da mesi come di una svolta cruciale quanto quella voluta dal timoniere Deng Xiaoping nel 1979, quando cominciò a sperimentare il capitalismo socialista dichiarando l’enclave meridionale di Shenzhen «Zona economica speciale». Da allora il Prodotto interno lordo della Repubblica popolare si è moltiplicato molte volte e oggi è il secondo del mondo.
Nella zona di Shanghai liberata da altri guinzagli con cui il partito comunista guida il «mercato con caratteristiche cinesi», gli investitori potranno muovere i capitali in entrata e in uscita dal Paese con maggior facilità e le banche, non il governo, decideranno i tassi d’interesse sui depositi.
Il premier Li Keqiang, che è un economista, ha fatto annunciare il nuovo corso con articoli entusiasti sui giornali del partito comunista. Ma i contenuti reali del progetto ancora oggi sono tutti da chiarire.
Solo venerdì il Consiglio di Stato (il governo di Pechino) ha pubblicato le linee guida. Un comunicato esile. La «Free trade zone» comprende sei settori: servizi finanziari; spedizioni e logistica; commercio; servizi professionali; cultura e intrattenimento; salute e istruzione. Segue un elenco di 18 nuove possibilità di impresa libera nel settore dei servizi: si va dagli studi legali alle assicurazioni, alle cliniche, alle agenzie turistiche.
Il cuore di questo laboratorio riformista è il settore finanziario: Li Keqiang vuol provare a lasciare che sia il mercato a fissare i tassi di interesse, permettere alle aziende di cambiare liberamente yuan in valuta straniera e di muovere questi capitali verso l’estero. Le banche internazionali (comprese alcune italiane) si stanno preparando ad allargare le operazioni, ma Pechino ha già avvisato che gli esperimenti «avanzeranno quanto sarà consentito dalle condizioni... i rischi saranno controllati». E il periodo del test sarà di non meno di tre anni. Poi si vedrà se il modello Shanghai potrà essere allargato al resto della grande Cina. Il comunicato ricorre anche al linguaggio saggio e ispirato tipico della burocrazia in mandarino: «Ciò che sarà maturo sarà colto prima e poi si avanzerà un passo dopo l’altro».
I banchieri di alcuni grandi istituti cinesi a Shanghai avvertono che le direttive sono troppo vaghe e quindi anche loro non sanno ancora quello che potranno davvero fare. Il professor Chao Gangling, dell’Università di economia di Shanghai dice al Corriere che «sulla convertibilità dello yuan Li Keqiang ha incontrato resistenze da parte della Banca centrale e dei ministeri coinvolti».
Lu Ting, analista di Bank of America Merrill Lynch sostiene che il paragone con la zona speciale di Shenzhen lanciata da Deng all’inizio della via cinese al capitalismo non regge: «La finanza non è come il commercio dei prodotti, la finanza è invisibile e scorre da un luogo all’altro con grande rapidità...».
L’agenzia Bloomberg ha fatto un sondaggio tra i principali gruppi di analisti finanziari: 8 su 15 hanno risposto che la zona libera di Shanghai non avrà effetto o quasi sulla crescita della Cina per i prossimi cinque anni. Secondo questi osservatori l’impatto sulla crescita potrebbe essere tra lo 0,1 e lo 0,5%. Il professor Chao replica: «Non è il Pil di 28 chilometri quadrati di Shanghai che conta, ma il valore dell’esperimento. Se riuscirà sarà allargato...».
Quelli che l’affare l’ha già fatto sono gli immobiliaristi: nell’ultimo mese i prezzi del mattone intorno al perimetro della Free trade zone sono cresciuti tra il 20 e il 30%. Ma non tutti sono felici: nella Zona libera pilota, su un bell’edificio di appartamenti circondato da grattacieli, gli inquilini hanno appeso uno striscione: «Protestiamo energicamente contro i palazzinari dal cuore nero». I palazzinari vogliono abbattere le loro case per costruire uffici.
Deluso anche chi avevano sperato che nella Zona pilota sarebbe stato liberato dalla censura Internet: la voce dello sblocco di Facebook e Twitter è stata smentita. Con l’economia il potere fa esperimenti, con la democrazia non si vuol cimentare.
Confermato invece che alle industrie straniere all’interno della zona sarà permesso di produrre e vendere le console per i loro videogame, finora bandite in Cina. Quelli di Nintendo stanno già festeggiando, anche se dovranno fare i conti con le copie pirata che si vendono spudoratamente agli angoli delle strade.
Piccole prove di grande riforma. Un altro esempio è Christie’s: la casa d’aste ha potuto tenere la sua prima vendita in territorio cinese allo Shangri-la di Shanghai. Incassi per 24,9 milioni di dollari: la migliore offerta è arrivata per una collana di rubini aggiudicata a 3,4 milioni. Il battitore era una battitrice vestita di rosso, molto scenografica. Tra i lotti un Picasso, un Warhol e un Morandi. La serata è stata inaugurata da 12 bottiglie di Chateau Latour 2000 e sei magnum per 49 mila dollari; tre Chateau Margaux del 1986, 1990 e 2009 sono andate via per 62 mila dollari. Ai nuovi cinesi piace investire nel vino europeo.
Siamo venuti qui a celebrare la grande apertura della «Zona pilota di libero scambio» di Shanghai: ma la domenica sembra un giorno strano per lanciare un’iniziativa finanziaria, visto che i mercati internazionali sono chiusi. E poi, da domani e per tutta la settimana, sarà la Cina a fermarsi per la festa nazionale che celebra la fondazione della Repubblica popolare. Anche questo è un segnale della cautela con cui la Cina cambia passo.
Guido Santevecchi