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 2013  settembre 29 Domenica calendario

L’ULTIMA LOTTA DEI 19 POMPIERI EROI


WASHINGTON - Alle 16.47 del 30 giugno Eric Marsh ha comunicato via radio una sola parola: «Dispiegamento». I 18 pompieri ai suoi ordini, tutti membri dell’Hotshots Granite Mountain di Prescott, Arizona, si chiudono nei loro rifugi. Teli in fibra e alluminio, dovrebbero proteggere dal calore, ma inutili contro i mille gradi sprigionati dal «drago», l’incendio che li ha circondati tagliando ogni via di fuga. I 19 di Yarnell muoiono come una pattuglia assediata da un nemico feroce. Uomini coraggiosi, padri di famiglia, fieri di appartenere a quel reparto. Essere un Hotshots vuol dire passione, sacrificio e quel briciolo di spavalderia che ti spinge al limite. Seguendo il sentiero della dedizione il team si è infilato in una trappola in fondo ad un piccolo canyon. Il rapporto di inchiesta, uscito ieri, ne ha sottolineato la professionalità, ha denunciato la carenza negli apparati radio, ha escluso le negligenze e gli errori suggeriti da alcune fonti, però ha lasciato aperti molti interrogativi su quanto è avvenuto quel pomeriggio.
L’ultimo giorno dei Granite Mountain è iniziato con una chiamata all’alba, «Yarnell è in pericolo». E la squadra si è unita ad altre unità indossando equipaggiamento spesso acquistato con il proprio denaro o le offerte. Gli Hotshots hanno raggiunto in colonna una serie di alture avvolte da un incendio innescato da un fulmine. Cosa comune in Arizona. La terra arida e gli arbusti sono un combustibile micidiale. Il rogo non avanza, corre. La squadra è abbastanza esperta, composta da professionisti e stagionali, quest’ultimi pagati 15 dollari all’ora. Alcuni sono figli di pompieri, uno viene dai marines, altri quando non indossano la tuta gialla fanno i cuochi, gli operai, i commessi o i cow boys nei ranch. Devono essere pronti a lavorare anche 20 giorni di fila, in grado di portare zaini pesanti, sempre in forma. Li paragonano alle forze speciali. Il legame tra loro è identico, così come la rivalità con gli altri reparti.
La mattina del 30 le operazioni appaiono complicate. Eric Marsh, 40 anni, controlla continuamente la «Bestia» e tiene i contatti con i metereologi mentre dall’alto giganteschi aerei anti-incendio, una versione del Dc10, bombardano con il ritardante. La battaglia è dura. Ogni tanto i pompieri fanno una pausa per bere. Pochi secondi sufficienti per mandare un sms a casa. Andrew Aschcraft, 29 anni, 4 figli, spedisce una foto delle fiamme e un messaggio. L’ultimo. «Qui è dove oggi avrò il mio pranzo». Lui e i suoi compagni consumano razioni militari, poi si rimettono al lavoro. Marsh consulta Brendan McDonough, 21 anni, lasciato su un picco a fare la vedetta. Alle 15.26 il servizio meteo segnala temporali in arrivo. Brutta cosa. Perché innescano venti capaci di rendere imprevedibile il percorso dell’incendio. Marsh ne è consapevole. Si accorge che la «Bestia» punta sulla loro posizione. La mini-tempesta ha fatto girare le fiamme, ora procedono in direzione sud est. Attorno alle 16 c’è un black out nei contatti radio. Dura fino alle 16.30 quando Marsh comunica: ripieghiamo verso una fattoria. Anche la vedetta è costretta ad abbandonare la posizione e si mette in salvo. Gli Hotshots scendono verso la base della collina. Marsh chiede l’intervento degli aerei. L’aiuto non arriva per problemi tecnici e mancanza di visibilità.
Il team è come se camminasse in un girone dell’inferno, al buio. Non vede più nulla, sente il crepitare dei cespugli aggrediti dal rogo. La manovra del comandante è disperata, vuole raggiungere un ranch prima che le fiamme chiudano la morsa. E’ inutile. Dalle comunicazioni radio trapelano solo voci angosciate, a tratti incomprensibili. I pompieri sono impegnati nell’ultima difesa. Con motoseghe e scuri puliscono un piccolo spazio, accendono un controfuoco. Mosse frenetiche con il respiro che manca. Poi alle 16.47 l’ordine di Marsh di infilarsi nei teli ignifughi. I colleghi li chiamano da Yarnell: «Ci siete, Granite Mountain? Ci siete, Granite Mountain?». Silenzio. Gli elicotteri, a causa del fumo, sono costretti ad aspettare fino alle 17.30 prima di poter «entrare» nella zona. Troveranno il team dopo un’ora. Uniti in un fazzoletto di terra. I resti di Aschcraft e di un suo collega pochi metri all’esterno, gli altri dentro l’ultimo quadrato. Gli oggetti fusi. Ai loro familiari resterà solo il ricordo struggente.
Guido Olimpio

@guidoolimpio