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 2013  settembre 29 Domenica calendario

SUA MAESTÀ PASSA IN CARROZZA


Quando si tratta di scegliere un’automobile, molte persone optano per una berlina. Avvertono il comfort e l’eleganza di questo tipo di vettura, ma non sanno bene da dove derivi. E tanto meno si chiedono da dove giunga il curioso nome di "berlina".
La spettacolare mostra di carrozze da parata appartenute a monarchi, pontefici e principi italiani dal ’700 al ’900 allestita fino al 2 febbraio 2014 nelle Citroniere della Reggia di Venaria Reale offre al visitatore non solo la meraviglia di ammirare manufatti insoliti di grande bellezza (e di rara visione), ma l’opportunità di apprendere attraverso di essi molte informazioni che stanno alla base della nostra civiltà delle automobili.
E allora, prima ancora di lasciarci rapire dal fantasmagorico corteo di carrozze teatralmente allestito nelle lunghe Citroniere dello Juvarra, vediamo di scoprire perché a noi piacciono tanto le berline.
Le auto berline derivano da carrozze omonime che offrivano il massimo della sicurezza e delle comodità. Il dettaglio è tecnico: le berline erano le vetture meglio ammortizzate, in quanto la loro cassa (cioè l’abitacolo) era sospesa su lunghi cinghioni di cuoio, appesi ad alte molle metalliche poste in corrispondenza delle ruote. A seconda del piano stradale da affrontare, la tensione dei cinghioni veniva regolata da un sistema di ruote dentate, definito con un nome ancora in "dotazione" sulle auto moderne, il crick. A inventare i cinghioni di sospensione pare sia stato un prete con il pallino dei trasporti, il barnabita Fausto Veranzio. Costui – armeggiando con i disegni di meccanica di Leonardo da Vinci mostratigli dal confratello Giovanni Ambrogio Mazenta a Roma – mise a punto nel 1616 il progetto di una «Carrozza pendente» definendola in tal modo: «La carrozza che pende si sospende su corezze (leggi: corami) a ciò che agiatamente porta quelli che dentro vi siedono».
L’ingegnoso progetto del monaco-carrozziere trovò la sua attuazione verso al fine del Seicento. Gli studiosi del settore concordano nel ritenere che il primo a costruire una carrozza con queste specifiche caratteristiche fu l’architetto piemontese Filippo Chiese. L’architetto si trovava a servizio del principe elettore Federico Guglielmo di Brandeburgo, e fabbricò una carrozza con il sistema dei cinghioni sospesi in occasione di un viaggio che il principe doveva compiere da Berlino a Parigi. Quando la nuova vettura giunse nella capitale francese, tutti si stupirono, e siccome l’avveniristica carrozza veniva da Berlino la battezzarono «berlina».
Chiarite le etimologie, avventuriamoci nella mostra. La scelta degli allestitori è quella di suscitare nel pubblico interesse e «maraviglia», immaginando di invitare i visitatori ad assistere al regale passaggio delle carrozze con tanto di sontuosi finimenti, laddove si siano conservati quelli originali. I grandi disegni dell’architetto Gianfranco Gritella, che scandiscono il percorso e sono liberamente tratti da quadri e vedute urbane, aiutano a immaginare noi stessi mescolati alle ali di popolo attratte e incuriosite dallo spettacolo del potere, offerto dal passaggio di fiabeschi cortei di carrozze regali.
La rassegna è scandita in quatto tappe. La prima ci mostra le carrozze dei principi. Dovrebbe, a onor del vero, mostrare quelle dei re, ma subito apprendiamo che la Rivoluzione francese ha fatto piazza pulita di quasi tutti i cocchi reali degli Antichi Stati italiani, in quanto oscuri simboli dell’esecrando potere monarchico. Ci dobbiamo così accontentare (si fa per dire) di ammirare la Berlina di gala dei principi Chigi (commissionata a Parigi da Sigismondo Chigi bel 1776 in occasione delle sue seconde nozze) o quella dei baroni siciliani Asmundo che l’antiquairio Stefano Bardini comperò sul mercato e che lo Stato Italiano ha recentemente ereditato. Al gusto per le carrozze di lusso, i principi italiani venivano educati sin da bambini, come dimostra la presenza in rassegna di un curioso carrozzino da giardino del ’700, usato dai piccoli aristocratici nei loro parchi utilizzando pony, pecore, capre o cani come forza motrice.
Una delle pochissime carrozze reali da parata del ’700 sopravvissute al maglio delle Rivoluzione è il Berlingotto di gran gala del duca d’Aosta Vittorio Emanuele, cui è dedicata la seconda sezione. La carrozza è di soli due posti, dunque l’abitacolo è "tagliato" (cioè "coupé") e la "berlina" s’è trasformata per questo in "berlingotto". Venne realizzata nel 1789 in occasione del matrimonio del duca sabaudo con Maria Teresa d’Asburgo Este da un team d’eccezione composto da Amedeo Demonte (il carrozziere), Vittorio Rapous (il pittore decoratore) e Giuseppe Maria Bonzanigo (lo scultore ebanista responsabile dei meravigliosi intagli).
Nella terza parte della mostra vediamo "passare" la carrozza del papa. La costruirono i fratelli Casalini per Leone XII e venne usata anche da Pio IX e Pio X. Araldica a parte, per distinguere la carrozza di un pontefice basta affacciarsi al suo interno e verificare – come in questo caso – la presenza di un’unica, singolare seduta: il trono del papa. I pontefici usarono questa vettura fino a primi anni del Novecento e quando l’arcivescovo di New York decise nel 1909 di donare un’automobile a Pio X si vide opporre un garbato rifiuto: «No grazie, meglio le carrozze, sono meno rumorose».
Anche i Savoia amarono molto le carrozze. Non solo conservarono con cura quelle ereditate dai sovrani degli Antichi Stati (come la Berlina di gala di Ferdinando II di Borbone e quella di Ferdinando III di Lorena esposte in mostra) ma incrementarono il loro "parco carrozze" commissionando vetture di gala da utilizzare per le cerimonie ufficiali del nuovo Regno unitario. Il loro carrozziere di fiducia si chiamava Cesare Sala, un milanese con una carrozzeria di 11mila metri quadri sita in corso Sempione 45. Il re Umberto e la regina Margherita furono suoi assidui clienti ordinando berline di gala bellissime. E quando il motore a scoppio cominciò a insidiare le carrozze a cavalli, il carrozziere reale diversificò velocemente la produzione e si mise a disegnare anche eleganti "carrozzerie" di automobili. La mostra di Venaria si chiude infatti con un’auto storica, una Itala 34/35 realizzata nel 1909 per la regina d’Italia Margherita di Savoia e carrozzata proprio da Cesare Sala. Al contrario di Pio X, la sovrana amava moltissimo la novità delle automobili e finché visse (1926) riempì di auto il suo garage personale divertendosi a battezzare le auto con i nomi degli uccelli. E così possedeva – tra le altre – un Condor, un Cigno, un’Aquila e un Falco. L’auto qui esposta la chiamava «Palombella».
Domanda. La regina amava tanto le auto perché odiava le carrozze? Poteva averne motivo, visto che il consorte Umberto I venne freddato a Monza durante un’uscita pubblica su una carrozza scoperta nel luglio del 1900. La mostra chiude proprio su questa considerazione: le carrozze e le auto da parata sono state spesso "veicoli" spettacolari per l’ostensione e l’esaltazione del potere di re, papi e presidenti. Al tempo stesso, però, hanno rappresentato un punto assai vulnerabile e fragile del cordone di sicurezza che solitamente si tendeva attorno a un personaggio potente. Il re di Francia Enrico IV, lo zar di Russia Alessandro II, il re d’Italia Umberto I, il re del Portogallo Carlo I, l’arciduca d’Austria Francesco Ferdinando, il presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy e il papa di Roma Giovanni Paolo II, mostrandosi al popolo su carrozze e auto, hanno avuto, per così dire, esperienze piuttosto negative.