Frans de Waal, Il Sole 24 Ore 29/9/2013, 29 settembre 2013
CONSIGLI DI UN BONOBO A UN ATEO
Che cosa direbbe un bonobo a un ateo? Io ho conosciuto il bonobo linguisticamente più capace del mondo, Kanzi, che viveva ad Atlanta insieme alla sorella più giovane, Panbanisha. Benché la comprensione che Kanzi ha dell’inglese parlato sia stupefacente, e benché egli sia uno dei bonobo più intelligenti che io abbia mai visto, le sue produzioni linguistiche (espresse al computer attraverso simboli) non sono al livello di un dibattito accademico. Ma fingiamo che lo siano.
Il bonobo esorterebbe anzitutto l’ateo a smettere di "dormire furiosamente". Non c’è alcuna ragione per darsi tanto da fare a discutere sull’assenza di qualcosa, specialmente se questo qualcosa è così aperto a ogni interpretazione come lo è Dio. È vero che, se essere un ateo autodichiarato comporta un marchio, come avviene purtroppo negli Stati Uniti, la frustrazione è comprensibile. L’odio genera odio, ed è per questo che alcuni atei inveiscono contro la religione e ne parlano come se la sua scomparsa fosse destinata ad apportare un enorme sollievo. Non importa se la religione è troppo profondamente radicata per poter essere abolita, e se i tentativi storici di eliminarla con la forza non hanno portato altro che infelicità.
Io sono favorevole a un ruolo ridotto della religione, con meno enfasi sul Dio onnipotente e più sulle potenzialità umane. In tutto ciò, ovviamente, non c’è niente di nuovo: questa è l’agenda umanistica. Oggi l’umanesimo è spesso visto come antireligioso, ma non è certo così che ha avuto inizio il tutto. Il primo umanesimo criticò la teologia della Chiesa, considerata scollegata dalla vita pratica, ma era per lo più compatibile con i valori cristiani. Io, però, non dovrei sbilanciarmi troppo qui perché chiamare "religioso" qualsiasi valore è un po’ problematico. Pare piuttosto che varie religioni si siano appropriate dei valori umani universali, ognuna di esse sostenendoli con le proprie narrazioni e facendoli propri. È solo nel Settecento che l’umanesimo si sviluppò fino a diventare un’alternativa alla religione, e che acquisì un’attrazione di massa, fornendo un atteggiamento di vita etica fondata sulla ragione invece che sul soprannaturale. Rimane, però, il fatto che l’umanesimo è non religioso, non antireligioso. La tolleranza della religione, anche se la religione non è sempre a sua volta tollerante in cambio, permette all’umanesimo di concentrarsi su ciò che è più importante, la costruzione di una società migliore, fondata sulle capacità umane, naturali. Il risultato è l’esperimento in corso in occidente di una società sempre più secolarizzata. Come il movimento nella tettonica a placche, il cambiamento prodotto dall’umanesimo è estremamente graduale. L’umanità non cambierà in un attimo, come se la religione fosse un’influenza aliena.
Il bonobo esorterebbe l’ateo a seguire una prospettiva a lungo termine. La buona notizia è che gli ingredienti principali di una società morale non richiedono la religione, dal momento che provengono dall’interno. Nonostante la sua enfasi sulla ragione, l’umanesimo considera l’uomo una creatura fatta tanto di passione quanto di intelletto. Questo è il punto in cui il bonobo non ha problemi di connessione con noi.
Il confronto di noi stessi con altri primati ci preserva contro schemi riduttivi, difendendoci dall’accusa di essere schiavi dei nostri istinti. Coloro che abbracciano questa ipotesi sono pronti a far circolare la parola "errore" ogni volta che gli esseri umani non riescono a seguire la linea del partito evoluzionistico. Essi trovano più facile dare la colpa a noi che rivedere le loro teorie. Il problema è che ci sono molti livelli in mezzo fra i geni e il comportamento, dalla codifica delle proteine (che è ciò che fanno i geni) ai processi neurali e alla psicologia. Noi siamo sospinti da emozioni e valori innati, che guidano, piuttosto che dettare, un comportamento. Essi ci spingono in una determinata direzione, ma ci lasciano molte possibilità alternative. Di conseguenza possiamo prenderci cura di persone che non possono restituire il favore, adottare giovani che non sono nostri parenti, cooperare con estranei e provare empatia verso membri di una specie diversa. E non siamo gli unici: l’ultimo esempio è l’aiuto dato da alcune megattere a una balena grigia madre impegnata a difendere il suo piccolo contro un’orca...
È anche per questa ragione che il bonobo non è d’accordo con chiunque contrapponga evoluzione e morale. (...) se gli esseri umani in tutto il mondo sviluppano un senso di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato, uno dei nostri desideri più profondi dovrebbe essere quello di vivere in un mondo morale... Grazie a Dio, se posso esprimermi così, noi condividiamo con altri primati un passato come animali di gruppo, che ci fa apprezzare le connessioni sociali. In assenza di questo retroterra, la religione potrebbe predicare sulla virtù e sul vizio fino allo sfinimento senza mai convincerci. Siamo ricettivi solo a causa della nostra comprensione evoluta del valore delle relazioni, dei benefici della cooperazione, del bisogno di fiducia e di onestà e via dicendo. Persino il nostro senso della giustizia deriva da questo retroterra.
Qui il bonobo sarebbe a fianco dell’ateo e sosterrebbe che, qualunque fosse il ruolo della religione nella morale, sarebbe un ruolo di ultima venuta. La morale ebbe origine per prima, e la religione moderna si agganciò a essa. Invece di trasmetterci la legge morale, le grandi religioni sono state inventate per sostenerla. Noi stiamo appena cominciando a esplorare come faccia la religione a legare insieme le persone e a imporre il buon comportamento.
Infine, il bonobo si fa beffe della tortura intellettuale di cercare di separare l’"è" dal "dover essere", che affligge qualsiasi dibattito sull’evoluzione morale. È ampiamente accettato in filosofia che non siamo in grado di passare dal modo in cui sono gli esseri umani o gli animali a ideali morali. L’"essere" è descrittivo, si dice, mentre il "dover essere" è prescrittivo. Questa è una considerazione seria che non si risolve facilmente, ma un buon inizio sarebbe quello di fissare premesse corrette. Se si pensa che gli animali siano esseri licenziosi, privi di controllo sulle pulsioni che la natura ha dato loro, siamo su una strada sbagliata. Come noi, gli animali preferiscono certi esiti e reagiscono con paura o violenza a qualsiasi deviazione. Chi dice che il bonobo può fare tutto ciò che vuole? Persino rispetto al sesso, dove ha meno vincoli di noi, ha pur sempre bisogno di un partner disponibile, oltre che dell’assenza di maschi dominanti. Deve affrontare molte aspettative sulla sua condotta che altri non esiteranno a ricordargli non appena spaventerà un piccolo o tenterà di rubare del cibo a una femmina. Anche se gli mancano nozioni di giusto e sbagliato che trascendano la sua situazione personale, i suoi valori non sono del tutto diversi da quelli che sono alla base della moralità umana. Anche lui si sforza di integrarsi, obbedisce a regole sociali, empatizza con altri, ricostituisce rapporti infranti e resiste ad accordi iniqui. Possiamo anche scegliere di non usare il termine "morale" in queste situazioni, ma non è vero che il suo comportamento è libero da prescrizioni.
Con questa osservazione il bonobo conclude i consigli rivolti all’ateo, che vede come un contestatore più che come un sostenitore. La grande sfida è quella di andare avanti, oltre la religione, e soprattutto al di là della morale vista dall’alto verso il basso. Le nostre "leggi morali" più note offrono bei compendi post hoc di quella che noi consideriamo la morale, ma sono di portata limitata e piene di buchi. La morale ha origini molto più umili, che sono riconoscibili nel comportamento di altri animali. Tutto ciò che la scienza ha imparato negli ultimi decenni fornisce argomenti contro la visione pessimistica secondo cui la moralità è una patina sottile su una natura umana malvagia. Al contrario, il nostro sfondo evolutivo ci offre un enorme aiuto, senza il quale non saremmo mai arrivati così lontano.
Brano tratto da Frans de Waal, Il bonobo e l’ateo, traduzione di Libero Sossio, Raffaello Cortina Editore, Milano, pagg. 322, € 28,00, in uscita nei prossimi giorni