Andrea Cirolla, La Lettura, Corriere della Sera 29/9/2013, 29 settembre 2013
COTONE E CONIGLI: STORIA DELLA CARTA
L’ Archivio storico del comune di Matelica, antica città delle Marche, conserva un documento membranaceo, un registro di spese risalente al 1264 che riporta, tra le altre voci, quella relativa all’acquisto di alcune risme — si legge — di «carta bambagina». Quella carta era arrivata a Matelica dopo un breve viaggio da Fabriano, piccolo centro oggi nella provincia di Ancona, poggiato sul versante orientale dell’Appennino umbro-marchigiano. Si tratta della più antica testimonianza di carta fabrianese, che stabilisce l’età di una tradizione secolare. Settecentocinquanta anni per la precisione, da compiersi nel 2014.
Nel 1264, a Fabriano, è stata inventata la carta nella sua forma definitiva, quella che ancora oggi utilizziamo. Da allora, quella stessa carta è entrata negli studi di celebri personaggi della storia — Garibaldi, ad esempio — e dei più grandi artisti — Michelangelo e Francis Bacon, Beethoven e John Cage —, così come negli spazi delle persone comuni, nelle case, negli uffici, nelle scuole (si pensi al classico album F4 da disegno). La carta «bambagina» era realizzata con il cotone — o con il lino, o con la canapa — degli stracci ricavati da capi di biancheria scartati. Una ricetta semplicissima: fibre naturali, acqua e colla. Ma se la modernità incomincia nel 1264, la storia inizia molto prima. Ecco dove e quando.
La testimonianza proviene da un frammento — cartaceo, ovviamente — di una mappa risalente alla prima metà del II secolo a. C., rinvenuto negli anni Ottanta in una piccola tomba nella città-prefettura di Tianshui, lungo la Via della Seta, nell’antica Cina.
La carta all’inizio è realizzata battendo cortecce di gelsi nell’acqua, ottenendo una pasta da stendere poi su un telaio ad asciugare. È su un’altra qualità di gelso che invece vivono i bachi della seta, che da almeno cinquemila anni i cinesi utilizzano come raffinato supporto di scrittura — tra i più antichi insieme a lastre di pietra, ossa di animale, listelli di legno e bambù, pergamene... —, e di cui la carta pare all’inizio una metafora. Una sorta di «seta vegetale», scrive lo studioso Pierre-Marc de Biasi.
Tra progresso e conservazione la carta attraversa secoli durante i quali la sua ricetta rimane gelosamente custodita entro i confini dell’impero. L’esclusiva dura fino al VII secolo, poi il nuovo supporto di scrittura contagia Corea e Giappone. Ma una data cruciale cade nel 751, quando due cartai cinesi — si narra — sono fatti prigionieri dagli arabi a Samarcanda. Il governatore generale del Califfato di Bagdad li mette sotto torchio fino a estorcere il loro segreto, che da quel momento è libero di diffondersi nel Mediterraneo. È la seconda grande epoca nella storia della carta.
Grazie agli arabi la carta costruisce un ponte tra Oriente e Occidente, due universi storici e culturali prima separati; la loro spinta militare e commerciale nel bacino del Mediterraneo rompe le barriere etnocentriche, porta vitalità e ricchezza nelle principali città e nei porti del Medio Oriente, dell’Africa settentrionale e dell’Europa.
E tuttavia quella araba non è, davvero, la carta; o almeno quella cui siamo abituati. Ancora nel Duecento se ne impediva l’uso nella stesura di atti ufficiali. Lo testimoniano i provvedimenti di Federico II Hohenstaufen: nonostante egli stesso la utilizzasse facendosela spedire dalla Siria, dalla Spagna o dalla Sicilia (la carta era arrivata a Palermo all’inizio del secolo), o forse proprio in ragione della sua esperienza, nel 1231 decise di proibirne l’uso presso i notai imperiali e la cancelleria regia. Il motivo è semplice: quella carta era facilmente deteriorabile a causa della collatura (un trattamento a base di colle per rendere il foglio impermeabile agli inchiostri) con sostanze amidacee, che favorivano l’attacco dei microrganismi. Qui entra in gioco Fabriano. Le sue «gualchiere», piccoli laboratori artigianali nati intorno al 1264, sostituiscono gli amidi con una gelatina animale ricavata dalla bollitura degli scarti di pelli (spesso dei conigli) delle vicine concerie, la quale, oltre a impermeabilizzare la carta, la protegge conservandola nel tempo. È questa la prima delle tre innovazioni che rivoluzionano la storia non solo della carta. A Fabriano l’invenzione, passando dalle mani e dalla creatività dei suoi artigiani, compie il passo decisivo che l’ha resa, da uno fra i tanti supporti di scrittura, il principale nel mondo. E anche il più economico, fattore decisivo per la fortuna sua e della scrittura, le cui forme da lì si moltiplicano fino all’invenzione della stampa nel XV secolo.
Se la carta cinese raccoglieva un’esperienza di scrittura che la precedeva di più di un millennio, la carta occidentale eredita almeno 4.500 anni di sistemi linguistici e il relativo carico di necessità umane: all’inizio funzionali (la notazione dei prodotti agricoli), poi anche creative (i primi testi letterari si fanno risalire alla fine del III millennio a. C.).
La seconda innovazione fabrianese si chiama «Pila idraulica a magli multipli», un dispositivo meccanico azionato dalla corrente del fiume per sfilacciare gli stracci (l’uso del legno si imporrà solo all’inizio dell’Ottocento) e preparare la pasta da carta. Ma è la terza innovazione a portare la vera novità nella produzione cartaria. La filigrana, contrassegnando ogni foglio con un disegno invisibile se non in controluce, impresso sulla carta non con segni aggiunti ma attraverso un gioco di spessori della carta stessa, contrasta i tentativi di imitazione che tra XIII e XIV secolo si moltiplicano prima sul territorio italiano e poi nel resto d’Europa. La sua evoluzione è rapida; da semplice disegno diviene presto una vera opera d’arte, fatta di luce e impalpabili pieni e vuoti di fibre. Il percorso della filigrana non si ferma all’uso estetico, il suo cerchio evolutivo in qualche modo si chiude nel momento in cui è applicata a quello straordinario concentrato di tecnologia in una manciata di centimetri quadrati che è la banconota. L’esempio classico è l’euro, prodotto proprio a Fabriano in un regime di alta protezione: ogni suo taglio porta con sé il segno d’acqua, detto filigrana, raffigurante un esempio dell’architettura europea.
Dal 1264 la storia prosegue dritta fino al 1782, quando Pietro Miliani, capostipite dell’odierna industria, fonda la «Cartiera Miliani». Nel giro di quattro generazioni (da Pietro al pronipote Giambattista, che tra le altre cose ha dato impulso a un Archivio storico all’avanguardia nel panorama industriale italiano), essa entra nella modernità forte di un’esperienza plurisecolare e una produzione massiccia (oggi circa 210 mila tonnellate di carta all’anno, l’equivalente di cento milioni di quaderni). Anche l’epoca dell’informatica contro ogni aspettativa — considerando anche la fisiologica flessione del 2008 dovuta alla crisi — ha visto consolidarsi i consumi, soprattutto nei mercati orientali: senza trascurare che all’abitudine di scrivere lettere a mano si è sostituita l’abitudine di stampare quelle elettroniche.
Il resto è storia recente. Dal 2002 Fabriano è parte del Gruppo Fedrigoni, che ne ha rilanciato le cartiere con investimenti strategici. E oggi si prepara a festeggiare un grande anniversario: nel 1264 l’umanità comincia a consegnare alla carta la propria memoria storica, scientifica e artistica; 750 anni più tardi la carta la riconsegna a noi, intatta e viva.