Eva Cantarella, Corriere della Sera 28/9/2013, 28 settembre 2013
EDIPO ED OMERO UN ENIGMA, DUE DESTINI
Edipo ed Omero Un enigma, due destini
P er i greci, essere in grado di rispondere a un indovinello non era un semplice gioco. La vita stessa di colui che era sottoposto all’indovinello poteva radicalmente cambiare, a seconda della sua capacità o meno di risolvere l’enigma. Il caso più celebre è, ovviamente, quello di Edipo che salvò la città di Tebe sciogliendo un enigma che nessuno era riuscito a risolvere. La domanda postogli dalla Sfinge era stata: qual è l’essere che cammina ora a quattro gambe, ora a due, ora a tre? La riposta era: l’uomo, che da piccolo gattona, da adulto cammina eretto e in vecchiaia si appoggia a un bastone. Come ricompensa, tra il tripudio generale, Edipo divenne il re di Tebe e ne sposò la regina. Non trascurabile particolare: la regina era sua madre. Ma allora nessuno lo sapeva. Quel che accadde quando la cosa venne scoperta è ben noto. Qui basta ricordare il trionfo di Edipo e la gloria che, anche se solo temporaneamente, gli venne dall’aver saputo risolvere l’enigma. E passiamo al secondo caso, radicalmente diverso: per non essere riuscito a venire a capo di un enigma, Omero, nientedimeno che il grande Omero, si lasciò morire dalla disperazione. Ormai molto vecchio, era tornato all’isola di Kos, dove si diceva fosse nato. Un giorno vide un gruppo di pescatori che, scesi dalla barca, presero a spidocchiarsi: Omero chiese loro se avessero pescato qualcosa. E quelli: «Ciò che abbiamo preso lo abbiamo lasciato. Ciò che non abbiamo preso, lo portiamo con noi». Alludevano ai pidocchi: di quelli che avevano ucciso si erano liberati. Non altrettanto, invece, di quelli che erano rimasti sul loro corpo. L’umiliazione, la vergogna per non essere stato in grado di risolvere l’indovinello fu tale che Omero di lì a poco ne morì.