Marco Vinelli, Corriere della Sera 28/9/2013, 28 settembre 2013
BALCONI AD ALTA QUOTA
Probabilmente il balcone più famoso del mondo si trova a Verona: è quello da cui si affacciava Giulietta per salutare il suo Romeo, secondo quanto raccontato nella tragedia di Shakespeare. Infatti il terrazzino è quella propaggine dell’abitazione che si affaccia sullo spazio pubblico e permette di stare «fuori» pur continuando a rimanere «dentro». I balconi, nel corso dei secoli, sono diventati molto comuni e si sono diffusi a tutte le latitudini e in tutte le culture. Eppure, c’è una tipologia di edificio che preferisce farne a meno. O meglio, preferiva: quella del grattacielo.
Per decenni il grattacielo è stato uno dei simboli della modernità: per un italiano, "sbarcare" a Manhattan, dal dopoguerra in poi, significava tuffarsi nel futuro, mentre le nostre città erano inesorabilmente legate al passato. Bella forza, quella del grattacielo era una tipologia nata proprio in America. Come sosteneva Cass Gilbert, l’architetto autore del Woolworth Building a New York: «Il grattacielo è una macchina che fa rendere il terreno». Nata espressamente per ospitare uffici e sedi di società. E che doveva funzionare come un meccanismo di precisione: ventilazione, riscaldamento, posta pneumatica, elevatori e scale mobili, distribuzione dell’energia. Tutto era controllato da una centrale in modo da ottimizzarne il funzionamento.
Gli impiegati potevano accendere o spegnere la luce e poco altro. Le finestre erano rigorosamente sigillate e negli uffici del Seagram Building di Mies van der Rohe a New York, ad esempio, le tende frangisole potevano essere regolate solo su tre posizioni, per non alterare l’equilibrio della facciata: aperte, chiuse o a metà. Da qualche tempo, la tipologia dell’edificio sviluppato in altezza non è più prerogativa del terziario ma si è estesa anche al residenziale: d’altra parte, già nel 1933 Gio Ponti aveva progettato la «torre Rasini» a Porta Venezia destinandola a un utilizzo abitativo, sulla cui sommità aveva previsto una villa greca su tre piani.
Oggi, abitare «in alto» è molto chic, significa respirare aria più pulita, allontanarsi dai rumori del traffico, godere di un panorama più suggestivo. In questo senso le proposte si sono moltiplicate, un po’ in tutto il mondo. Dagli Usa al Medio Oriente, dall’Europa alla Cina i grattacieli residenziali sono sempre più numerosi. Con ovvie varianti agli schemi costruttivi finora adottati: sulle facciate, prima uniformi, spuntano balconi e terrazze piantumate. I serramenti fissi ora sono apribili per favorire la ventilazione naturale; abbinati ai balconi con funzione di frangisole, che se opportunamente studiati permettono notevoli risparmi dal punto di vista energetico. E le forme, prima lineari e rigorose, sono diventate sinuose e accattivanti, come nella Aqua Tower di Chicago dello Studio Gang Architects: 82 piani caratterizzati da balconi che richiamano le onde dell’acqua, tutti di diverse profondità (le terrazze esposte a sud sono più ampie) quest’edificio colpisce con un impatto visivo formidabile. Sembra che sia in continuo movimento. Qualcosa di analogo è successo per le Absolute Tower di MAD Studio a Mississauga, un sobborgo di Toronto, talmente sinuose che nell’immaginario popolare sono diventate le «Marilyn Monroe Towers»: 50 e 56 piani variamente orientati grazie ai balconi. Le vetrate ad alto isolamento termico sono schermate da particolari brise-soleil mobili che consentono il passaggio della luce naturale in tutti gli ambienti interni, mentre la forma delle due torri devia le correnti d’aria pericolose per la struttura, favorendo invece i moti convettivi naturali per la ventilazione e la climatizzazione dell’intero edificio.
A Milano c’è stata una specie di ritorno alle origini: dopo la torre Rasini, gli altri grattacieli costruiti nel dopoguerra erano indirizzati al terziario, come da modello Usa. Solo negli ultimi anni la tipologia ha ripreso piede, in particolare in zona Garibaldi con le torri del «bosco verticale» di Boeri e con le forme altrettanto squadrate delle torri Solaria e Aria progettate dallo studio Arquitectonica di Miami con lo studio Caputo: 18 e 34 piani superecologici in cui i balconi sono messi in risalto dalla colorazione bianca che spicca sulla massa scura dell’edificio. E mancano ancora all’appello il Curvo, lo Storto e lo Smilzo del complesso CityLife.