Stefano Agnoli, Corriere della Sera 28/9/2013, 28 settembre 2013
CLIMA, COLPA (QUASI) CERTAMENTE NOSTRA
Che il riscaldamento globale del pianeta misurato dal 1950 sia da attribuire all’attività umana è «estremamente verosimile». Lo si può ormai affermare con un livello di certezza tra il 95 e il 100%, lo stesso che ha la scienza medica quando sostiene che il fumo uccide. Dopo settimane di «leaks», l’organismo dell’Onu che si occupa di valutare quanto la ricerca mondiale sforna sul cambiamento climatico ha pronunciato ieri il suo verdetto.
A Stoccolma gli uomini dell’Ipcc, l’Intergovernmental Panel on Climate Change, hanno diffuso una trentina di cartelle che rappresentano soltanto l’avanguardia delle 2.500 pagine prodotte dal primo dei tre «gruppi di lavoro». Due milioni di gigabyte di dati e 9.200 pubblicazioni citate che dovrebbero dare un’indicazione di cosa stia accadendo al clima del pianeta, e orientare le politiche dei governi. Un processo che sarà completato entro ottobre 2014, anche se a dare un quadro sembrano più che sufficienti le pagine di ieri sull’evidenza scientifica del cambiamento.
È vero, intanto, che a colpire siano metodo e linguaggio dei ricercatori Onu. Nel 1990 e nel 1995 il legame tra riscaldamento climatico e attività umana era solo suggerito come un’ipotesi possibile. Nel 2001 è diventato «verosimile», con il 66% di probabilità. Nel 2007, l’anno del rapporto precedente, era salito al 90% («molto verosimile»). Una progressione scandita con prudenza, e solo oggi ribadita con il massimo di forza che l’Ipcc si può permettere dati i suoi vincoli scientifici e istituzionali (ha 195 Paesi membri).
Ma in concreto, che cosa significa tutto ciò? Ad esempio che nell’emisfero settentrionale il periodo 1983-2012 è verosimilmente stato il più caldo degli ultimi 1.400 anni; che dopo che le acque superficiali degli oceani si sono già riscaldate, la stessa sorte toccherà a quelle più profonde, influenzandone la circolazione; che soprattutto nell’emisfero nord i ghiacci continueranno a perdere massa. E anche che il livello medio del mare nel periodo 1901-2010 è cresciuto di 19 centimetri e continuerà a farlo. Sulla base di quattro scenari di emissioni di CO2 si prevede che in questo secolo le temperature medie cresceranno tra 0,3 e 4,8 gradi. Probabilmente si resterà all’interno di 1,5-2 gradi, al limite estremo della «sopportabilità» per l’uomo ma con effetti poco prevedibili localmente: «Ci saranno onde di calore più frequenti e più lunghe — ha spiegato il co-chair svizzero Thomas Stocker — e con il riscaldamento della Terra le regioni umide riceveranno più piogge mentre quelle più secche ancora meno».
Ma come giustificare, invece, l’evidenza secondo la quale negli ultimi 15 anni l’incremento delle temperature si è fermato, un argomento che ha animato le contestazioni recenti dei «clima-scettici»? «I trend rilevanti per il clima non dovrebbero essere calcolati per periodi inferiori a 30 anni», ha risposto Stocker. Il 1998, punto iniziale del presunto rallentamento, sarebbe poi stato un anno particolarmente caldo a causa del Niño.
C’è da scommettere, comunque, che la partita che si gioca sul clima non finirà così. Gli scienziati dell’Ipcc si devono ancora far perdonare i grossolani errori commessi nel precedente assessment, quando avevano sostenuto che i ghiacciai dell’Himalaya sarebbero scomparsi entro il 2035. E neppure hanno fatto una bella figura quando nel 2009 sono state rese note le email «hackerate» dall’Università dell’East Anglia (il «Climategate») che mostravano quanto gli effetti dell’influenza umana sul clima fossero sopravvalutati.
Resta tuttavia il fatto che all’opera c’è anche una consistente lobby «scettica» e conservatrice, che di volta in volta cerca di smontare le conclusioni dell’Ipcc. Non sempre con argomenti scientifici: lo scorso anno l’Heartland Institute di Chicago, un think tank liberista, ha addirittura affisso cartelloni pubblicitari che mostravano il volto di Unabomber, Ted Kaczynski, e la scritta: «Credo ancora nel riscaldamento globale, e tu?». Va da sé che in mancanza di un accordo planetario sulle emissioni e dopo il fallimento della Conferenza di Copenaghen nel 2009, in gioco ci siano interessi plurimiliardari. Un esempio? La settimana scorsa l’amministrazione Obama ha annunciato che porrà limiti alla CO2 rilasciata dalle centrali a carbone. Ma il carbone, negli Usa, serve ancora a produrre più di un terzo dell’elettricità.