Federico Pontiggia, Il Fatto Quotidiano 28/9/2013, 28 settembre 2013
IL CALCIO È UNA RELIGIONE, L’ARBITRO PRIMA O POI FINISCE SULLA CROCE
Calcio d’inizio. Il fischietto Cruciani (Stefano Accorsi) è in lizza per la finale di Champions, ma vuole certezze e chiede aiuto al consigliere della Fefa (- Fifa + Uefa) Candido (Marco Messeri). Contemporaneamente, nella Terza categoria sarda, il povero Atletico Pabarile viene stracciato dal tronfio Montecrastu: complice l’amore per Miranda (Geppi Cucciari), riuscirà il fantasista Matzutzi (Jacopo Cullin) a risollevarne le sorti?
È L’arbitro, diretto dall’esordiente Paolo Zucca, che con la sceneggiatrice Barbara Alberti ha “gonfiato” il corto omonimo David di Donatello 2009. Prodotto da Amedeo Pagani, in sala con Lucky Red, veste bianco e nero, fa la serpentina tra generi e registri diversi e non lascia in panchina Camus: “Tutto quello che so della vita l’ho imparato dal calcio”.
L’arbitro è sempre cornuto.
Cruciani fa male a chiedere un aiutino, se non è cornuto, è peggio: disonesto. Poi c’è l’arbitro Moreno, questo sì cornuto per eccellenza: Francesco Pannofino ne fa una parodia, e ogni riferimento ai Mondiali di Corea è puramente casuale.
Ma l’arbitro è anche Cristo.
L’arbitro è il capro espiatorio per antonomasia: paga per tutti. René Girard identifica il Cristo come capro espiatorio, e percorrendo questa metafora Cruciani viene mostratoall’iniziocomeGesùcon le braccia aperte. Da un lato, è un peccatore che per ambizione finisce agli inferi, dall’altro, per il Pabarile è il Cristo Salvatore, perché segna nella partita-bolgia e viene portato in processione con le salsicce al collo come un santo.
Ok, il calcio è una religione, ma tu esageri…
Ho enfatizzato, certo, ma una delle mie fonti è stato un ottimo documentario, Kill the Referee (Les arbitres ), che racconta dall’interno le vicende agli Europei del 2008 di quattro arbitri, tra cui il nostro Rosetti. Ebbene, lui davvero bacia i suoi collaboratori: noi abbiamo esagerato la componente sacrale, ma i fischietti con la croce che penzola, i guardalinee che si battono le bandierine sulle spalle esistono davvero. Del resto, la realtà supera ogni fantasia: l’imbarazzantetiratadiPannofinocontrola tecnologia in campo è la traduzione letterale del discorso di un dirigente Uefa inglese.
C’è anche Calciopoli.
Ho guardato dei doc, ascoltato le intercettazioni per sintonizzarmi sullinguaggio,leparoleeisuonidi alcuni personaggi: il mio non è un film di denuncia, né un instantmovie,noncisonoriferimentiprecisi, ma in bocca a Messeri ho condensato la gelatina linguistica di Calciopoli.
Moggi?
No, quelli che più mi hanno colpito sono dei pesci piccoli, ma non li posso dire.
Sarà il bianco e nero, sarà il grottesco, ma si sente l’eredità di Ciprì e Maresco.
Li considero una delle avanguardie artistiche più importanti d’Europa, e spero tornino a lavorare insieme, ma io sono molto meno cinico, il grottesco lo uso in modo più bonario, meno estremo. A costo di apparire presuntuoso,imieiriferimentisononellagrandecommediaall’italiana,il primo Monicelli, Risi, Fellini e Pasolini in bianco e nero.
Oggi?
Vedo film italiani fatti con campo e controcampo, campo e controcampo: mi cadono le braccia.
La tua sfida?
Formale: mettere insieme tanti generi, fare commistione, cambiare modulo a seconda della scena, perché ognuna richiede un tono diverso. È nel mio Dna, a stento controllo l’impulso a cambiare le carte in tavola e qui mi è scappata la frizione: nelle scene farsesche forse avrei dovuto tenere la briglia, ma già in scrittura era chiaro il passaggio senza mediazione dal comico al tragico, dal-l’epico al terra terra. L’ho fatto deliberatamente, come esperienza formale, perché il cinema è arte, anche se molti se lo dimenticano.
Non hai dimenticato Leni Riefenstahl.
L’ho studiata: è un modello estetico, ma solo quello. Un richiamo formale, ma l’abbinamento musicale alle pose plastiche di Accorsi aiuta l’atmosfera.
Sei andato a Venezia alle Giornate degli Autori, girando al largo della selezione ufficiale: qualcosa da dichiarare?
È un’opera prima, già andare a Venezia era importante: no, nessuna recriminazione. E in sala L’arbitro se la sta cavando, 250 mila euro: non mi sembra SacroGRA ed Emma Dante abbiano fatto molto di più.
Fai tu l’arbitro: che fallo fischieresti al cinema italiano?
Fischierei un fallo di ostruzione al pubblico: va a vedere i Puffi e commedie di infimo livello. Moccia farà dieci volte Sacro GRA, ma non posso fischiare lui che fa il suo lavoro: è il pubblico che è rincoglionito.
Niente falli dietro la macchina da presa, dunque, ma quanti rigori avete sbagliato?
Non sono pessimista, ci sono Sorrentino, Garrone, Moretti, Ciprì e il più grande di tutti, Bertolucci: i rigori continuiamo a segnarli.
Stai parlando di top player.
Sono loro che fanno i numeri, il livello medio del nostro cinema è molto basso, e non solo quello: pubblicità,cultura,scuola,politica e lo stesso pallone, cos’è che non si sta abbassando nel nostro paese?