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 2013  settembre 28 Sabato calendario

«LA CREATIVITÀ? UNA SCIENZA CHE PUÒ ESSERE INSEGNATA»

Il primo a immaginare il legame tra scienza e pensiero creativo è stato forse Platone. Nel Timeo sosteneva che il numero matematico è il modello al quale guarda il Demiurgo nella creazione dell’universo. A quell’intuizione deve essersi ispirata la prima Mic Conference, Conferenza internazionale sulla scienza del pensiero creativo che si terrà a Bologna da domani fino al 1° ottobre: un appuntamento cui prenderanno parte inventori e scienziati, che hanno cambiato il nostro modo di comunicare e informare. Tra questi ci sarà Martin Cooper, ideatore del primo prototipo di cellulare, cui verrà consegnato il Marconi Prize 2013, e l’italiano Federico Faggin, creatore del primo microprocessore.
Proprio con Faggin, da anni attivo negli Usa. dove è stato decorato della Medaglia Nazionale per la Tecnologia e l’Innovazione da Barack Obama, abbiamo cercato di capire gli intrecci che vincolano la scienza alla creatività, rendendo la prima un’espressione dell’ingegno umano. «Chi associa la creatività esclusivamente all’arte», ci dice Faggin, «commette un errore. Nella nascita di una nuova teoria scientifica, c’è un processo creativo a dir poco sorprendente. E anche nella trasformazione di un’idea in un prodotto tecnologico occorrono doti inventive non comuni. Sintetizzando, la scienza consiste nella somma tra creatività e rigore logico-matematico».
Oltre che la forza delle idee dell’individuo, secondo lo scienziato italiano, è fondamentale il contesto nel quale si lavora. «La creatività ha bisogno di un ambiente nel quale possa attecchire. La Silicon Valley, in questo senso, rappresenta l’habitat ideale. Qui si dà grande importanza alla fase della progettazione, della maturazione delle idee, la quale si concilia con momenti di relax, di riposo creativo, e con altri di lavoro intenso». Anche quell’ambiente stimolante ha permesso a Faggin, nel 1971, di dare vita al primo microprocessore al mondo, l’Intel 4004, hardware che ha modificato la forma e la funzione del computer. «Quando abbiamo messo a punto questa metodologia innovativa », continua l’inventore originario di Vicenza, «c’era la consapevolezza di aver fatto un passo da gigante nell’universo delle tecnologie. Non immaginavamo certo gli sviluppi che ne sarebbero venuti, come la nascita di internet, ma sapevamo che cambiare il modo in cui si progettavano i sistemi significava rivoluzionare l’informatica».
Per questo risultato straordinario, tiene a sottolineare Faggin, è stato fondamentale un lungo processo di formazione nelle aziende italiane. «Ricordo che nel 1961, quando avevo 19 anni, costruii un calcolatore elettronico per Olivetti. Era un apparecchio grande come un armadio, che però allora veniva considerato piccolo e all’avanguardia. Da quell’idea sono partito per realizzare, dieci anni più tardi, il microprocessore». Dopo quell’invenzione, Faggin è stato anche l’artefice, nell’azienda da lui fondata, la Synaptics, dei primi modelli di touchpad e touchscreen. «Il touchpad», ammette con orgoglio, «ha permesso di creare notebook più sottili, più affidabili e più economici. Quanto al touchscreen, abbiamo posto le basi, vent’anni prima, per la nascita degli iPhone e degli iPad».
Oggi Faggin ha abbandonato l’attività tecnologica in senso stretto e dato vita a una fondazione no profit, che intende studiare la consapevolezza, ossia la capacità umana di fare esperienza. «Ritengo che la scienza debba aprirsi al soggettivo, indagando nell’uomo le qualità creative e cognitive. L’individuo non può ridursi a un algoritmo, perché esistono in lui doti di immaginazione e di conoscenza, che risalgono, a mio avviso, a un’energia primordiale scatenata nel Big Bang. Io chiamo questa parte di anima “consapevolezza”».
Le indagini di Faggin sulla consapevolezza dimostrano che la creatività umana può essere studiata e perfino insegnata, come ribadisce il professor Giovanni Emanuele Corazza, fondatore del Mic. «È nostra convinzione», sostiene, «che la creatività sia una scienza, un disciplina da trasmettere e non un lusso per pochi. In questo senso dobbiamo investire nell’ingegno, sia permettendo ai giovani italiani di affermarsi all’estero che importando talenti dagli altri Paesi». Un elemento, quello dell’universalità del genio, di cui è fermamente convinto Faggin. «Guglielmo Marconi», conclude, «è l’esempio migliore dell’italiano che ha iniziato le sue ricerche in patria e le ha sviluppate all’estero. Io stesso ho cominciato in Italia e mi sono trasferito in America. Da adolescente volevo diventare progettista di aerei, a 12-13 anni costruivo già degli aeromodelli. Ma infine ho rinunciato al sogno di essere ingegnere aeronautico e ho ripiegato sulla radiotecnica. Quella scelta si è rivelata la mia fortuna».