Fulvio Ervas, la Stampa, Tuttolibri 28/9/2013, 28 settembre 2013
COME CURARE IL DIABETE DELLO SCIMPANZÉ
Tutti sanno cosa sia un cammello, una giraffa, un rinoceronte. Ma una cervicapra? E un binturong? Un tamarino? Pochi. Ma anche chi conosca cammello, giraffa, e rinoceronte, saprebbe metterci le mani? Solo un veterinario di animali esotici potrebbe.
Un tizio speciale che nella sala d’attesa non abbia solo, come sarà capitato tante volte di vedere, cani simil-uomo, gatti sospettosi e qualche coniglio con la congiuntivite.
Bisogna immaginare un ambulatorio esteso su un ampio territorio (siamo in Francia), disseminato di animali d’ogni sorta, ciascuno con un suo acciacco, tutti in attesa, non sempre pazientemente, del dottore.
Il fatto è che la nostra attitudine a collezionare le forme della vita (facendo delle nostre campagne, delle nostre città, persino di certi condomini, un’esposizione permanente di un mondo arbitrariamente mescolato) produce, come effetto collaterale, la circolazione di rinoceronti, alligatori, oranghi, leoni, bufali, linci e quant’altro.
Ecco, le «avventure» di Florence Ollivet-Courtois sono una carrellata, curiosa, che rivela un altro aspetto della presenza, nelle nostre vite, di animali esotici. Perché si può, lungamente, discutere sul senso e sull’opportunità, di relegare un animale in gabbia, un pitone nella vasca da bagno, un coguaro nel poggiolo.
Il fatto è che sono qui, separati dalle loro reti di relazioni e non sono personaggi da fumetti, sfondi per cataloghi turistici, comparse in qualche circo, curiosità da giardini zoologici (giardini?). Gli animali esotici, proprio come noi, hanno un corpo, sono biologia. S’ammalano, si rompono, patiscono. E bisogna metterci mano.
L’autrice racconta, con passione, perché è una veterinaria appassionata, dei tanti aggiustamenti di corpi non umani ed è un viaggio, a tratti divertente, sempre emozionante, dentro (è il caso di dir-
lo) il corpo del diverso, diverso per specie naturalmente. Perché quando s’ammala un cebo cappuccino o un mandrillo, vuoi per affetto, vuoi per interesse, magari perché rappresentano un autentico pericolo, corriamo a bussare alla porta della veterinaria. La quale non solo deve conoscere le abitudini, l’anatomia e la fisiologia di una moltitudine di specie, deve architettare, e c’é un fascino incredibile in questo, le modalità per avvicinare l’animale, per sedarlo, per poterlo curare senza ulteriori danni.
Quando si deve accompagnare il corpo di una giraffa, sedata, che s’addormenta e crolla a terra da qualche metro d’altezza, entra in gioco la fisica. E sollevare o girare su un fianco un’elefantessa? Sono necessarie soluzioni ingegneristiche e, allo stesso tempo, delicate e rispettose.
Ci vuole pazienza e invenzione: come si abitua uno scimpanzé ad una iniezione quotidiana di insulina?
Tra l’umanità che caccia e quella che cura c’é un abisso di sensibilità, di percezione della complessità e del posto che gli altri viventi occupano nella rete della vita.
Naturalmente ci sono anche mucche, cavalli, in questi
racconti. Persino una poiana in un supermercato.
Alle volte sembra di vederla, la veterinaria, come protagonista di un serial televisivo (e il materiale ci sarebbe), con il suo fucile ipodermico calcolare la forza del vento, la distanza, la forma dell’animale, il suo modo di procedere e poi sparare capsule narcotizzanti.
Fortunatamente per noi, resta tra le pagine di un buon libro, lontana (speriamo) dalle mielose serie sul mondo animale, dove recitano tutti male, foche e gabbiani compresi.
Nel libro, infatti, gli odori si percepiscono: degli animali che tentano una fuga verso qualche libertà, di uno scimpanzé aggressivo, del ventre di un elefante svuotato dall’autopsia, di uno struzzo che scappa con una freccetta ipodermica conficcata nella testa (e se la cava).
E ci sono gli «odori» della veterinaria: il dente di lupo in un occhio, il rostro di un rapace nella mano e poi calci, colpi, sgroppate. Un ceffone da uno gibbone. Perché ci si mette in gioco, si rischia, si prova.
Si sbaglia, s’impara: la passione ha sempre una doppia direzione, due lati.
Che Un elefante in sala d’attesa non sia una semplice sequenza di inusuali schede veterinarie, lo rivelano, infine, le commoventi annotazioni sul rapporto con gli elefanti: «E con la punta della proboscide mi ha delicatamente slegato i lacci delle scarpe. Con gli animali, il cerchio non si chiude mai».
E’ la bellezza incontenibile della «grande» vita (proprio come balene e sequoie), è la loro emotività, è la tragedia nel vederli morire, anche se potrebbe sembrare impossibile che tanta massa organica soccomba, come il più piccolo dei batteri.
E possa piangere, come noi.
Ah, una cervicapra è un’antilope asiatica velocissima e il binturong una sorta di orsetto lavatore, per niente socievole, come precisa la nostra veterinaria. Meglio crederle.
E il tamarino? Eh, il tamarino…