Lucio Villari, la Repubblica 28/9/2013, 28 settembre 2013
QUANDO IL POTERE SALì IN CARROZZA
“ Il re Vittorio Emanuele I era intanto partito da Cagliari e stava per arrivare. Il 20 maggio finalmente arrivò questo re tanto annunziato e benedetto. Io mi trovavo in parata in piazza Castello ed ho presente benissimo il gruppo del re col suo stato maggiore. Vestiti all’uso antico con la cipria, il codino e certi cappelli… Tutt’insieme erano figure abbastanza buffe. La sera, s’intende, grand’illuminazione; e davvero fu spontanea quanto magnifica. So bene che Sua Maestà non aveva neppur un legno e un paio di cavalli; onde mio padre gli offrì in dono un carrozzone di gala, tutto dorato e a cristalli, cogli amorini idropici sugli sportelli”.
Questo è il ricordo di Massimo d’Azeglio che, sedicenne, salutava così l’inizio della Restaurazione nel 1814 in Piemonte e in Europa dopo la prima caduta di Napoleone. I re spodestati tornavano sul trono e lo facevano con l’orgoglio, il fasto e la pienezza del loro potere regale. La rivoluzione francese, le repubbliche, vent’anni di Napoleone dominatore: tutto finito. Anche se ci vorrà ancora un anno per la definitiva caduta a Waterloo. E intanto i vecchi sovrani dovevano farsi rivedere in pubblico, “riapparire” ristabilendo usi, forme, ranghi, prestigio. E quale palcoscenico migliore di una carrozza dorata, coi cristalli limpidi, piena di simboli, stemmi, imponenti e fastosi quasi più della stessa persona del sovrano intravista attraverso i vetri. Insomma, un piccolo teatro necessario per “rappresentare” la potenza e l’unicità dell’“attore” che veniva trasportato. Certo, allo spiritoso d’Azeglio non era sfuggito che “il buon re con quella sua faccia, via diciamolo, un po’ di babbeo” non era molto regale, ma suo padre, il marchese Cesare, sapeva bene che senza una carrozza come si deve l’impressione sarebbe stata peggiore. E in realtà, per almeno due secoli, nell’Italia tra ’600 e ’700 (ma il discorso vale per tutta l’Europa) le carrozze reali, quelle dei viceré napoletani, lombardi o siciliani, delle altre corti italiane, dei pontefici romani, delle casate principesche, sono inseparabili dalla storia dell’età dell’Assolutismo. Anzi, le carrozze sono l’Assolutismo nel suo aspetto più piacevole e innocente. Per non parlare della gradevolezza estetica di un gioiello di legno, ferro e cuoio dove nulla era lasciato alle linee rette e lisce e tutto era animato, scolpito, illeggiadrito da scultori e architetti di fama, e realizzato da artigiani di eccezionale bravura. Il “Berlingotto” che era appartenuto a Vittorio Emanuele non ancora re e che si può vedere nella mostra alla Venaria di Torino, non a caso è forse l’ultimo segno sfarzoso del ’700 a portare la data fatidica di confezione “1789”. Quell’anno l’Assolutismo iniziava il declino. Certo, la Restaurazioneel’800ridarannovitaalle antiche monarchie e alle classi dirigenti aristocratiche, ma rivedendo in questa mostra le carrozze dei granduchi di Toscana o quelle papali e delle grandi famiglie italiane si avverte che il teatro mobile sta lievemente tramontando in oggetti lambiti da una inedita sobrietà borghese. È solo un tramonto, non la fine perché, ad esempio, nell’Italia unita, almeno fino alla morte di Vittorio Emanuele II nel 1878, le carrozze e i cortei reali avevano ancora i segni di antiche fiamme del potere politico e della regalità indiscussa.
Ma nello stesso 1878 il successore Umberto I sarà ferito dal pugnale di un anarchico mentre era in un landau scoperto e in un altro semplice landau troverà la morte nel 1900. E in vetture simili, chiuse ma semplici, avevano subito attentati il primo console Napoleone Bonaparte, Napoleone III, lo zar Alessandro III. Forse nessun attentatore avrebbe osato distruggere delle opere d’arte come le carrozze dell’Assolutismo. Quest’ultime vetture confluiscono dignitosamente nelle prime grandi automobili amate da Vittorio Emanuele III, dalla regina Elena e dalla regina madre Margherita. Ma non sarà mai la stessa cosa. Anzi, anche le automobili saranno nel ’900 l’oggetto di attentati mortali a re, principi, esponenti politici. Dunque ripensare e rivedere nella mostra di Torino le stupende carrozze dorate forse richiama i drammi nascosti del potere assoluto, ma rinvia anche a immagini struggenti e perdute di pace e di bellezza.