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 2013  settembre 28 Sabato calendario

ANNA PIAGGI E QUEI CAPPELLI CHE RACCONTAVANO MILLE STORIE

Era grigio come in quegli anni era ancora Milano. Livido, chiuso, lucido e gocciolante; quasi un racconto di Testori. Poi lei usciva da via San Martino e tutto rinveniva, si rianimava. Come chiunque la incontrasse, rapida, veloce, balenante. Anna Piaggi, direttrice moda dello storico Arianna, era divenuta quella incomparabile creatura che, stupefatto, l’ambiente editoriale cittadino si era visto mutare in seno per una misteriosa vocazione evolutiva: signora come tante, grigioblu, tacco medio e chignon frugale… Tra il ’64 e il ’65, il prodigio. E come ogni iniziazione, a cominciare dai capelli. Rasati alla nuca, ora, e così simili a quelle anticomanie attorno al 1802. Poi, il ritorno da Parigi in pelliccia nera di scimmia. E già in strada non c’era più chi non si voltasse. Finché, per un felice errore di tintura, una ciocca del suo coup-de-vent non divenne blu elettrico. Mentre a poco a poco i lineamenti si trasfiguravano in un acquerello, tra Barbier e Utamaro.
Ma i cappelli vennero dopo: solo all’inizio degli anni Ottanta. Come essenziale introduzione ai labirintici trattati che aveva iniziato a scrivere su di sé. E con il prestigio internazionale crebbe la mole di quanto, come fossero parole, accumulava per il suo argomentare. Quasi tremila abiti magnifici e preziosi; e più di 600 cappelli per l’avvio della dissertazione. Che infatti iniziava sempre da un cappello, dinanzi al suo specchio privato. Poi il resto, come sviluppo della trama. Solo allora passava a uno specchio meno riservato, nello studio, dove l’insostituibile Moreno Fardin, storico assistente concelebrante, valutava con lei gli esiti dello svolgimento. E dei colpi di scena: densi di coltissime combinazioni e di ossimori sul tempo e le sue ciclicità.
Con l’intelligente distacco di uno stratega, talora commissionava lei stessa i suoi copricapo- incipit. A Stephen Jones, per esempio, un omaggio alla vela: per un viaggio in Nuova Zelanda, in occasione della Coppa America. Piccoli in genere, paradossali, sbilenchi, stavano sul suo capo come la materializzazione di un non detto o di un pensiero così meglio espresso. Una didascalia figurata, un fumetto. Lei, la più colta e geniale giornalista di moda di sempre, che oggi una mostra, Hat-ology, Anna Piaggi e i suoi cappelli (Palazzo Morando, fino al 30 novembre), inizia a raccontare nella sua città; mentre una università londinese dà l’avvio alla catalogazione sistematica del suo indomabile guardaroba.