Antonio Cianciullo, la Repubblica 28/9/2013, 28 settembre 2013
2100, CITTÀ SOMMERSE E CALDO RECORD “IL CLIMA IMPAZZITO SCONVOLGERÀ LA TERRA”
ROMA — Nel 2100 saremo in 9 miliardi su un pianeta rimpicciolito dall’avanzata dei mari, barricati in città attraversate da ondate roventi, inseguiti dalle malattie tropicali che allargheranno il loro raggio d’azione, con milioni di persone in fuga dalle pianure invase dalle acque e dalle pianure inaridite. Dopo una ricerca durata 6 anni, gli scienziati dell’Ipcc — che nel 2007 hanno vinto il Nobel per la pace — confermano la diagnosi di febbre crescente per il pianeta Terra. Aggiungendo che i virus che causano la malattia sono stati identificati con una probabilità del 95 per cento: si chiamano combustibili fossili e deforestazione.
Il quinto rapporto Ipcc, presentato ieri a Stoccolma, mette la parola fine al dibattito sull’incertezza delle previsioni, spesso utilizzato per rinviare le decisioni. I modelli sono stati affinati e le prove continuano ad accumularsi. Negli ultimi 30 anni ogni decennio è stato più caldo del precedente e l’ultimo ha infranto ogni record da quando si è cominciato a misurare le temperature su scala globale. I ghiacci battono in ritirata quasi ovunque. I mari sono arrivati a rubare un centimetro ogni 3 anni. La concentrazione di CO2 in atmosfera è al limite di guardia: tra 10 anni saremo fuori dall’area di sicurezza.
«Se il tuo medico ti dice che c’è il 95% di possibilità che tu abbia una grave malattia, ti metti immediatamente a cercare una cura», ha commentato Connie Hedegaard, commissario europeo al clima. Le cronache raccontano scelte diverse. Dopo il fallimento del vertice del 2009 a Copenaghen, il mondo si è affidato agli impegni volontari di riduzione della CO2 rimandando al 2020 una cura più efficace. Risultato: le emissioni serra continuano a crescere del 2-3 per cento l’anno.
Il disastro climatico è dunque inevitabile? Secondo l’Ipcc una via di salvezza esiste. In uno dei 4 scenari proposti la temperatura cresce di 1 grado. Ma questo futuro potrebbe diventare reale solo se nel giro di pochi anni si dimezzassero le emissioni di CO2 causate dall’uso di petrolio, carbone e metano. Nessun segnale va in quella direzione. Anzi, l’andamento dei gas serra sta seguendo con inquietante fedeltà lo scenario peggiore, quello che ci porta a fine secolo a una crescita di temperatura che potrebbe arrivare a 5,5 gradi oltre il livello preindustriale (l’aumento più probabile è 3,7 gradi in più rispetto all’ultimo decennio).
In questo mondo proiettato al 2100, quello che ci attende se non cambiamo il modo di produrre energia, la vita diventerà molto dura per un miliardo di persone
che vivono lungo le coste. New York si troverà a convivere con il dramma sperimentato l’anno scorso con l’uragano Sandy. In buona parte del Sud della Florida bisognerà sostituire la macchina con la canoa. Nel Bangladesh a filo d’oceano avverrà un esodo di proporzioni bibliche. Interi Stati arcipelago, come le Maldive, spariranno dalla carta geografica, con atolli mangiati dal mare e altri senza più fonti d’acqua dolce. I profughi ambientali, secondo le previsioni Onu, saliranno a quota 200 — 250 milioni già entro il 2050.
Si chiuderà anche il rubinetto dei ghiacciai himalayani che chiamavamo eterni e che alimentano l’irrigazione delle pianure indiane e cinesi. Tra le aree più a rischio c’è il delta del Fiume Giallo, impoverito al punto da non riuscire spesso a raggiungere il mare. Minacciato anche il delta del Mekong, in Vietnam, dove vivono più di 17 milioni di persone.
In Australia l’avanzata del caldo renderà più spietate le ondate di siccità che nell’ultimo decennio hanno messo in ginocchio intere regioni. E tra le vittime del riscaldamento climatico figura anche la grande barriera corallina: il riscaldamento e l’acidificazione dell’oceano la stanno uccidendo.
Se la natura diventerà più inospitale, è difficile immaginare che le città potranno accogliere le popolazioni in fuga. Le ondate di calore dell’estate del 2003, che in Europa ci sono costate 70 mila morti, si moltiplicheranno. E nelle megalopoli dei paesi poveri, che inghiottiranno gran parte dei 2 miliardi di esseri umani che si aggiungeranno al bilancio del pianeta entro la fine del secolo, le condizioni di vita diventeranno sempre più dure.