Maurizio Ricci, la Repubblica 28/9/2013, 28 settembre 2013
SE NEL 2100 GLI OCEANI CRESCERANNO DI 25 CENTIMETRI
FRA gli scettici del clima, va di moda esorcizzare gli scienziati che, per conto dell’Onu, redigono il rapporto sul clima, chiamandoli, ironicamente, “Cassandre”. Sembrano ignorare che Cassandra, in effetti, come i troiani avrebbero amaramente imparato a loro spese, aveva ragione. E, proprio come Cassandra, man mano che il tempo passa e le scadenze si avvicinano, l’allarme diventa più acuto. E anche più lucido. Mai come ora gli scienziati — che tornavano ad esprimersi per la prima volta dopo il 2007 — sono sembrati pronti ad una posizione netta e ferma sulle responsabilità dell’effetto serra e sui disastri che può creare.
Senza essere scettici, tuttavia, si può essere ottimisti. In fondo, gli scienziati allineano, nel loro rapporto, una serie di “forchette”: entro questo secolo, la temperatura può crescere fra i 2 e i 4,5 gradi, i mari si possono gradualmente innalzare fra i 26 e gli 82 centimetri e via bilanciando le previsioni. E se ci andasse bene? Se il rialzo dei mari si limitasse davvero a 26 centimetri? In fondo, nel XX secolo si sono alzati di una ventina di centimetri e nessuno ha gridato al disastro. Il problema è che le coste e, soprattutto, le città non sono più quelle di inizio ’900. Per capire cosa vogliono dire 26 centimetri d’acqua, basta guardare le mappe preparate da New York, l’unica città ad aver studiato questo tipo di simulazioni. Avete presente la High Line, la ex sopraelevata che il sindaco Bloomberg ha trasformato in una passeggiata pedonale? Con 26 centimetri di mare in più, viene buona per i pescatori che si troveranno l’acqua sotto il naso. L’oceano lambirà il Madison Square Garden, a Wall Street si andrà in motoscafo, Chelsea, Greenwich Village, mezza Brooklyn e un bel pezzo di Queens saranno sott’acqua. In tutto, si tratterà di dire addio ad un quarto di New York.
E questa è l’ipotesi migliore. Con quella peggiore – 82 centimetri – finirebbero sott’acqua, oltre a New York, Londra, Shanghai, Lagos. Più, naturalmente, Venezia. Il mondo non sarebbe più quello che conosciamo. Ma è davvero l’ipotesi peggiore? Purtroppo, no. È quella che si può prevedere se non si sciolgono i ghiacciai della Groenlandia. E poiché lo scioglimento del ghiaccio non è un processo graduale, ma avviene quando la temperatura supera una certa soglia, la liquefazione dei ghiacci e il rialzo dei livelli degli oceani può essere un processo relativamente brusco e rapido. La Terra, del resto, ci è già passata: l’ultima volta che la temperatura del pianeta è stata di oltre 2 gradi più elevata di quella di oggi, i mari erano alti fra 1,4 e 4,3 metri in più.
C’è, tuttavia, un altro modo di essere ottimisti, non limitandosi a incrociare le dita e sperare nella fortuna. Può sembrare un insensato atto di fede, per giunta verso i meno meritevoli. Ma la lotta all’effetto serra è una questione di scelte politiche e, alla fine, dovranno essere i politici a vincerla. La novità è che, proprio qui, qualcosa si muove. Può sembrare un paradosso, dopo che l’ultimo grande tentativo di lanciare la lotta globale al cambiamento climatico è fallito, nel 2009, Copenaghen, per responsabilità proprio dei politici. Invece, i segnali positivi vengono da qui e — meglio ancora — dai leader dei due paesi più grandi e più responsabili dell’effetto serra (nonché del fallimento di Copenaghen): Usa e Cina.
Ecco, dunque, la Casa Bianca che annuncia come, nel 2020, l’America riuscirà a rispettare l’impegno di portare le emissioni di anidride carbonica del 17 per cento sotto il livello del 2005. Nel risultato previsto, c’è una buona dose di iniziative di Obama, in particolare i tetti all’inquinamento delle centrali elettriche e delle auto. Ma, anche l’effetto della recessione e, soprattutto, del boom del gas che sta sostituendo, nelle centrali, il più inquinante carbone. Ma perché lamentarsi? Sono i risultati che contano. Idem per la Cina. La nuova leadership sembra intenzionata a mettere limiti severi alle emissioni di Co2. Non lo fa perché la inquietano le sue responsabilità globali, ma perché le crescenti classi medie cinesi non sono più disposte a soffocare per settimane, come un anno fa, in una coltre di smog. Ma il risultato è buono lo stesso.
Il problema è se queste iniziative cominceranno ad essere efficaci, prima del 2040, quando, come avverte il rapporto Onu, potrebbe essere troppo tardi per fermare il rialzo delle temperature. Anche qui, qualche speranza viene proprio dalla politica. Al segretario generale dell’Onu, Ban Ki moon, non viene di solito accreditato un grande fiuto politico. Però, in questi giorni, è stato lui a proporre, per l’anno prossimo, un vertice dei Grandi per affrontare il tema del clima e dell’effetto serra. Auguri. Il capolinea del 2040 è vicino.