Marco Valsecchi, IL 26/9/2013, 26 settembre 2013
L’UOMO E IL ROBOT. PRATICAMENTE DUE GOCCE D’ACQUA
Muoversi all’interno di una centrale nucleare, raggiungere una valvola e chiuderla. Se qualcuno fosse stato in grado di farlo subito dopo il disastro di Fukushima, i danni ambientali sarebbero stati molto minori di quelli che oggi il Giappone si trova ad affrontare. Non a caso, quello appena descritto è uno degli scenari che i partecipanti al Darpa Robotics Challenge si troveranno ad affrontare sulla strada che potrebbe portarli verso un premio da due milioni di dollari. Dettaglio da non trascurare: come suggerisce il nome, non stiamo parlando di un concorso per esseri umani, ma per robot. A promuoverlo è la Darpa, l’agenzia governativa statunitense incaricata dello sviluppo di tecnologie per uso militare. Ente non nuovo a questo tipo di iniziative: da un suo challenge precedente è stato sviluppato, ad esempio, il sistema di guida che ora dirige le Google driverless car. In questo caso il panorama di riferimento è quello degli scenari post disastro, naturale o umano che sia. Mentre lo scopo è produrre automi in grado di utilizzare strumenti umani e di interfacciarsi con l’uomo. Ci si dovrebbe arrivare a fine 2014, al termine di un percorso che ha già visto i team iscritti sfidarsi al simulatore lo scorso giugno e che li vedrà passare alla fase pratica già il prossimo dicembre, quando si terrà la prima “competizione fisica”. Sarà l’occasione per vedere finalmente all’opera Chimp, Hubo, RoboSimian, Robonaut, HRP-2, Thor e Atlas. I primi sei assemblati dagli ingegneri delle squadre iscritte alla competizione, il settimo messo a disposizione dalla stessa Darpa per quei team che si occupano solo di programmazione. Lo spettacolo si preannuncia avvincente, soprattutto per l’aspetto fisico dei concorrenti, dotati di arti e fattezze che nella maggior parte dei casi ricordano piuttosto da vicino quelli di un essere umano. E non potrebbe essere altrimenti, visto che dovranno guidare normali automobili e maneggiare utensili. Robocop e Terminator sono dunque tra noi? Guardando Atlas – due braccia, due gambe e una testa, il tutto distribuito su un metro e novanta di altezza per 150 chili di peso – l’impressione è quella. Ma non è l’unica prospettiva possibile: da questa parte dell’oceano, nel Vecchio continente, si lavora per costruire robot da utilizzare in contesti più marcatamente civili. «La Darpa viene sempre ricollegata all’ambito militare. I programmi europei hanno connotazioni diverse: qui si studia la cooperazione uomo-robot a livello industriale. L’idea è far lavorare insieme operai e automi per migliorare la produttività e renderci competitivi rispetto ai Paesi dove la manodopera ha costi più bassi», spiega Giorgio Metta, direttore del dipartimento iCub Facility all’Istituto italiano di tecnologia (Iit). Anche qui, prosegue il ricercatore, la scelta delle sembianze umane è dettata da fini pratici: «In un tessuto industriale come il nostro, fatto di piccole e medie imprese che cambiano spesso produzione, la flessibilità è importantissima. Conviene investire in un robot capace di adattarsi al lavoro su impianti diversi, piuttosto che nella realizzazione di impianti che producono una cosa e solo quella». Un esempio su tutti: «Mi è capitato di parlare con industriali che producono parti in plastica. Gli addetti alle macchine devono anche inscatolare i pezzi. L’automatizzazione non è possibile, visto che la forma delle parti cambia in base alle richieste del mercato. Meglio allora avere un robot che sa metterle via, prendendosi la parte demotivante del lavoro e lasciando all’uomo quella di precisione. Lo stesso discorso vale per i compiti stancanti, come lo spostamento di pesi». Ad accomunare i partecipanti al Darpa Robotics Challenge e gli scienziati dell’Iit c’è tutta una serie di problemi da risolvere: quelli relativi all’interazione tra automa e uomo, la parte legata all’intelligenza artificiale (che ha a che fare col riconoscimento e la manipolazione di oggetti) e la capacità di locomozione. Il lato curioso della vicenda, comunque, è che tra il robot-soccorritore e il robot- operaio, potrebbe esserci un terzo che gode: il robot-badante. Secondo Metta, proprio l’assistenza agli anziani rappresenta l’ambito in grado di portare le macchine umanoidi alla ribalta: «L’invecchiamento della popolazione è uno dei temi che saranno al centro dei prossimi stanziamenti programmati dalla Commissione europea. Le attuali tecnologie consentirebbero di creare un robot più o meno antropomorfo al prezzo di un’utilitaria. Un costo alto. Ma, considerando quanto sta salendo il prezzo dell’assistenza domiciliare, non è una via da escludere. Nel giro di una quindicina d’anni si potrebbe raggiungere una penetrazione sul mercato interessante. Le premesse ci sono, resta da vedere chi sarà il primo a investire in un progetto di questo tipo». Un ragionamento che apre prospettive affascinanti: chissà se Atlas saprebbe imboccare una vecchina o ricordare a un pensionato che è l’ora di prendere le pastiglie.