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 2013  settembre 25 Mercoledì calendario

MI SCOPRO DIVA A OTTANTADUE ANNI


Milano, settembre
«Non sono mai ricorsa a ritocchini per sembrare più giovane. Ucciderei chi me ne proponesse uno. Ti rovinano, irrigidiscono il volto. A un’attrice proprio non li consiglierei».
Elena Cotta ha trionfato a Venezia come miglior interprete femminile nel film Via Castellana Bandiera, dove si è giocata tutto con un’espressività eccezionale: quasi non dice una parola. Dopo sessant’anni di teatro e il debutto nei primi sceneggiati Rai, ha agguantato la Coppa Volpi a 82 anni. E non ha bisogno del chirurgo estetico. La incontro a Milano: capelli biondi, occhi azzurrissimi, un fisico esile, naturalmente chic. È appena arrivata da Roma in treno, appare fresca come una rosa. Indossa un completo nero di seta, una sciarpa candida: «Non ho pranzato, meglio un tè coi biscotti quando si ha fretta».
È anche per questo volto così bello, con le giuste rughe e una mimica formidabile, che la regista Emma Dante ha voluto proprio lei nel suo primo film. Via Castellana Bandiera narra la sfida di due donne, che in una Palermo torrida si fronteggiano in auto. Il vicolo è stretto, nessuna cede il passaggio. Elena Cotta è Samira, albanese antica e testarda, che guida una Punto dove si ammassa la famiglia Calafiore. Al volante della Multipla c’è invece Rosa (Emma Dante), arrivata in città con Clara (Alba Rohrwacher) per le nozze di un amico. È un film duro, con momenti di poesia e ironia. Metafora di quest’Italia dove per puntiglio ci si scanna, senza capire che ci sarebbe posto per tutti.

In 60 anni di carriera non era mai stata così famosa. C’è sempre un’altra chance per arrivare in alto?
«Sì, la mia storia lo dimostra. Non è mai troppo tardi. Me ne rendo conto ora, vincere a Venezia ti cambia la vita, dà energia, allegria».
Avrà pensato: “Accidenti, potevano accorgersi prima di me!”.
«No. E non per modestia ma perché, in fondo, è colpa mia. Non ho mai corteggiato i giornalisti, mai sgomitato. Sono pigra. Ho sempre preferito passare i giorni liberi nella mia casa di Santa Marinella, al mare, dove anche d’inverno vado a nuotare».
Complimenti. Vincere la Coppa Volpi fa ringiovanire, meglio del Viagra?
«Assolutamente sì. Sentirmi apprezzata mi dà la carica per nuovi progetti».
Tipo un film con George Clooney o Brad Pitt?
«Certo, ho sempre avuto la valigia in mano. Con mio marito Carlo (Alighiero, attore e regista con cui è sposata da 60 anni, ndr), abbiamo girato il mondo. Siamo stati i primi in tournée in Cina, negli anni 80, con Arlecchino servitor di due padroni. Un successo. I testi venivano tradotti su grandi cartelli in cinese. Ma a Nanchino cera l’Iveco e molti operai sapevano già un po’ di italiano. Adoro quella terra, mia figlia Barbara è sinologa, ha vissuto a lungo laggiù».
È vero che una volta i critici dissero: “Non premiamo la Cotta, è troppo giovane”?
«Avevo 22 o 23 anni, sul palco interpretavo una ragazzina grassa, miope e isterica ne La calunnia di Lillian Hellman, con Anna Maria Guarnieri. Metà giuria tifava per me, gli altri dissero: “Ha tutto il tempo”.’Be’, dopo 60 anni mi sono presa la mia rivincita!».
Le è costato essere imbruttita sul set di Via Castellana Bandiera?
«No, è il mio lavoro. Nel film sono Samira, una donna provata dalla vita, che ha perso la figlia e vive con un genero violento. Volevo restituire il suo sguardo, la sua camminata stanca».
Lei e Carlo avete festeggiato le nozze di diamante. Non litigate mai?
«Oh sì, litighiamo su tutto per lavoro. Se io vedo bianco, lui dice nero. Io sono una crapona, attrice poco malleabile, anche se il regista è lui».
Ricorda il giorno che l’ha incontrato?
«Sì, alla fine del 1949, a Milano. Sono davanti all’Accademia Filodrammatici, in coda con altri ragazzi per un provino. Carlo ha fatto Brera, lavora già come impaginatore, ma si mette in fila con noi. A fine giornata, mi saluta con un buffetto sulla guancia. Io, fredda, gli porgo la mano... Presto, però, cominciamo a frequentarci, vado a casa sua, lui viene da me. Costruiamo un rapporto solido: amore e carriera».
Il primo bacio?
«A una di quelle festicciole in casa. Non c’erano discoteche allora, niente droga, si andava tutti a nanna a mezzanotte. Alla fine ci sposiamo presto: nel ’52, e io sono già in attesa di mia figlia Barbara...».
Come la presero i suoi?
«Bene, in fondo se l’aspettavano. Anche mia suocera era contenta».
Avete avuto due figlie, Barbara e Olivia, giornaliste. Due nipoti, Malvina e Giacomo, e un bisnipote, Edoardo. Essere madre e attrice è stato facile?
«Si può conciliare tutto. Ma per un’attrice non è facile, c’è sempre qualcosa che si sottrae, alla madre e alla figlia. Ho avuto Barbara a 22 anni, Olivia a 35. Se è accaduto dopo tanto tempo è perché la desideravo davvero».
Negli anni ’70 ha fatto teatro sperimentale: si è mai spogliata sul palco?
«No, alcuni stranieri lo facevano. Ma gli attori nudi mi sembrano ridicoli, soprattutto gli uomini».
Ha lavorato anche con Alberto Lupo, Ugo Tognazzi: com’erano?
«Alberto un uomo stupendo, di grande simpatia e umanità, un amico. Tognazzi, un prepotente. Ma posso dirlo? Non vorrei ci restassero male i suoi figli».
Camilleri l’ha diretta a teatro.
«Sì, allo Stabile pugliese. Uomo arguto.
Come scrittore è anche meglio».
I politici le mandavano rose rosse?
«Mai capitato, maledizione! Forse perché lavoravo con mio marito, eravamo lontani dalla vita delle star. L’agente Laura Del Bono mi chiedeva spesso: “Elena, chi hai oggi a colazione?”. E io: “Nessuno...”. Un giorno le chiesi un favore: una parte per un attore giovane, di talento. Laura sorrideva maliziosa, pensava fosse il mio amante. Non era vero, ma l’ho adorata quel giorno».
Oggi va di moda la parola “rottamare”.
«Un verbo sgradevole. Io vivo con i giovani, mi sta a cuore il loro futuro. Ma essere buttati nella spazzatura, no. Con la spazzatura si rischia di buttare via dei tesori».
Cristina Bianchi