Alex Saragosa, il Venerdì 27/9/2013, 27 settembre 2013
SOTTO L’ITALIA UNA MINIERA DI ENERGIA: VERDE, GRATIS E POCO SFRUTTATA
In principio era solo la «Valle dell’Inferno»: spopolata distesa di geyser, pozze di fango ribollente e cascate di acqua calda, a sud di Volterra. Poi, nel 1818, arrivò in zona François Jacques de Larderel, che iniziò a usare quel calore per estrarre borace (un composto del boro usato nell’industria della ceramica e del vetro) dalle acque termali, fondando un paese per i suoi operai, Larderello. Nel 1904 Piero Ginori-Conti, dimostrò, accendendo cinque lampadine, che la forza del vapore sotterraneo poteva essere usata per produrre elettricità, dando all’Italia una nuova fonte di energia per sostituire quel carbone che altrove stava alimentando la rivoluzione industriale. Esattamente un secolo fa, nel settembre 1913, la prima centrale geotermica al mondo cominciò a immettere elettricità in rete. Per la prima volta gli uomini sfruttavano su larga scala una fonte di energia non derivata dal sole, ma frutto del calore emanato dal nucleo di metallo fuso della Terra. Un calore minimo in superficie, pari in media a quello di una lampadina da 40 watt disperso in un campo da tennis, ma che in certe aree geologicamente giovani, come l’Italia, è abbastanza intenso da trasformare l’acqua sotterranea in forme che vanno da una tiepida sorgente termale, a getti di vapore a 300°, buoni per muovere una turbina.
Fino al 1958 siamo stati gli unici al mondo a usare elettricità geotermica, rimanendo poi per altri decenni primi come potenza installata. Un secolo dopo l’accensione di quella prima centrale, però, il panorama è piuttosto deprimente: da una ventina di anni l’Italia ha una potenza geotermica bloccata intorno agli 8-900 megawatt, superata ormai da Stati Uniti, Filippine, Indonesia, Messico, mentre altre nazioni, dalla Turchia al Cile, dal Kenya al Nicaragua stanno risalendo la classifica. Non siamo riusciti neanche a sfruttare adeguatamente le acque calde sotterranee, di cui siamo ricchissimi, per il riscaldamento di abitazioni o per processi industriali: nel mondo siamo ormai quindicesimi, nel 2010 abbiamo usato solo 2,7 gigawattora di calore geotermico contro i 12,5 svedesi, i 10 turchi o i 3,5 tedeschi. «Nel Nord Europa» dice Alessandro Sbrana, docente di geochimica all’Università di Pisa, «scavano costosissimi pozzi fino a 5000 metri di profondità, pur di raggiungere acqua calda adatta al teleriscaldamento, mentre da noi in certe aree, come i Campi Flegrei, la si trova a poche centinaia di metri e nessuno la usa».
In Italia la geotermia è diventata insomma una sorta di Bella Addormenta energetica. Ma forse il momento del risveglio è arrivato: dal 2010 il settore è aperto ai privati e supportato da buoni incentivi. Assisteremo a un boom, come per il fotovoltaico? «Direi di no» frena Domenico Liotta, docente di Geologia strutturale a Bari, «perché la geotermia non è una risorsa “facile”: i luoghi in cui si trovano sia calore che acqua, a profondità, temperature, composizione e quantità utilizzabili, sono relativamente rari e di complessa individuazione. In geotermia il successo non è mai assicurato, c’è sempre il rischio di spendere milioni in pozzi e non trovare nulla di utilizzabile, anche se un’approfondita ricerca preliminare riduce di molto questo pericolo. Negli ultimi decenni si sono affinate sia le tecniche esplorative che quelle di impiego dei fluidi, per cui si possono individuare e usare molte più risorse geotermiche che in passato, rendendo il settore meno ostico».
E infatti, dopo la liberalizzazione, sono arrivate al ministero dello Sviluppo economico una novantina di domande per concessioni di ricerca geotermica, per un totale di altri 200-300 MW di potenza, che potrebbe aggiungersi alla nostra produzione geotermica entro il 2020. Potenza preziosa, perché la geotermia produce giorno e notte, ogni volta che serve, compensando l’intermittenza di eolico e fotovoltaico. E le nuove ricerche non si limitano alla Toscana, ma finalmente arrivano anche nel Lazio, in Campania, in Sicilia, dove non manca certo il calore sotterraneo, ma quasi nulla finora è stato costruito.
L’entusiasmo rischia però di infrangersi contro un fuoco di sbarramento di «Comitati del No», che stanno già organizzandosi al primo sentore di nuove centrali. «Posso capire la diffidenza» dice Sbrana, «in passato il vapore geotermico veniva immesso direttamente nelle turbine, rilasciando in atmosfera gas tossici e metalli pesanti. Questo ha prodotto comprensibili proteste, per esempio intorno all’Amiata. Ma la nuova geotermia è ben diversa: reimmette nel terreno tutto quello che estrae, senza rilasciare inquinanti in aria. E spesso usa cicli binari, in cui a muovere le turbine non è il vapore geotermico, ma un fluido secondario a basso punto di ebollizione, scaldato da quanto estratto da sottoterra, consentendo così non solo di eliminare l’inquinamento, ma anche di usare fluidi sotto i 150 °C o molto ricchi di gas o sali, un tempo inutilizzabili, ampliando le risorse disponibili».
I nuovi «cercatori di vapore» sono consapevoli della necessità del dialogo e della riduzione al minimo dell’impatto ambientale. «Costruiremo solo piccole centrali da 5-10 MW, con reiniezione totale dei fluidi geotermici, per evitare inquinamento e tutelare la risorsa, progettate, in accordo la popolazione locale, per integrarsi al meglio nel paesaggio» dice Fausto Batini, amministratore delegato di Magma Energy. «Il calore che estrarremo servirà anche per produrre acqua calda per case e aziende nelle aree delle centrali, così da massimizzare i benefici della risorsa». E c’è chi punta su prodotti innovativi. «Sperimenteremo la costruzione di una minicentrale elettrica da soli 175 chilowatt» dice Loredana Torsello, del Cosvig, consorzio dei comuni dell’area geotermica toscana, «sufficienti per una cinquantina di famiglie o una piccola azienda, per testare nuove tecnologie di minigeotermia distribuita, che, se valide, potrebbero creare una filiera industriale tutta italiana. E costruiremo nuovi impianti di teleriscaldamento geotermico fuori dall’area storica, per dimostrare la convenienza di queste tecnologie anche in aree apparentemente non vocate».
Insomma a 100 anni dall’intuizione di Conti-Ginori, la geotermia potrebbe dare un contributo decisivo alla green economy e alla ripresa, diventando piccola, pulita, amichevole, innovativa. «Era ora», conclude Sbrana «abbiamo buttato via per decenni un’enorme risorsa energetica gratuita, sostituendola con costosi combustibili fossili, mentre le industrie italiane della geotermia sopravvivevano lavorando quasi solo per l’export». Follie che non ci possiamo più permettere.
Alex Saragosa