Massimiliano Lenzi, Il Tempo 27/9/2013, 27 settembre 2013
«IL TALK SHOW? COSTA POCO E SI LOGORA. È UN CLONE DEL PROCESSO DI BISCARDI»
[Antonio Ricci]
«Le trasmissioni vanno ad annate, come le olive. Succede per i talk e per il reality che, pur essendo una derivazione del talk, ne segue le fortune. Abbiamo avuto una sbornia di reality dove c’era di tutto: prima il Grande Fratello e tutti chiusi in una casa. Poi chiusi su un’isola, poi in un’ascensore. Alla fine i meccanismi si logorano per sovraesposizione. Quest’anno tocca ai talk». Antonio Ricci, babbo di Striscia la notizia, è un uomo che dagli anni Settanta in avanti ha attraversato tutti i generi ed i linguaggi televisivi.
Siamo al tramonto dei talk?
«C’è da dire che, per ragioni climatiche, rispetto all’anno scorso, al bacino manca un milione di telespettatori. In ogni caso il talk è un prodotto commerciale che costa poco, molto appetibile nella televisione di oggi che è in crisi economica. Serve uno studio illuminato senza grandi effetti, non paghi gli ospiti, paghi pochissimo il trucco, non paghi i costumi, niente post-produzione. Tutta una serie di risparmi che non sono ancora arrivati alla fase finale che è quella in cui chi partecipa al talk pagherebbe lui. Il talk politico è praticamente un clone del processo del lunedì di Biscardi».
Anche nelle forme meglio riuscite?
«Sì, anche in quelle. Praticamente si tratta di aizzare le curve senza portare mai un brandello di verità che usualmente non frequenta gli studi televisivi. Per cui hai sempre una contrapposizione, un wrestling finto che può essere più o meno gestito bene. Ad esempio: la formazione teatrale di Michele Santoro gli permette una guida dal polso sicuro e dall’effetto assicurato perché è una riproposizione della sceneggiata napoletana in altra maniera. Perché c’è sempre isso, issa e o’ malamente per cui alla fine il racconto teatrale e drammaturgico ha una forte efficacia. Santoro è spietato nella conduzione, ha un senso dei tempi straordinario per cui se sente Ruotolo che si allunga un secondo in più, lui lo ferma. Questo è un modello efficace, che poi ha avuto decine di tristi epigoni, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Però diciamo che è mettere insieme lo spettacolo della politica, non serve a capire i problemi perché forse la televisione ha uno specifico linguaggio che non è quello di farti capire ma di spettacolarizzare».
La tv è un’estensione delle emozioni più che del ragionamento?
«Esatto. Così come oggi ci sono decine di trasmissioni sulla cucina dove però non viene spiegata la cucina. Mai. Perché forse non si può nemmeno. La tv parla da sola, anche se dentro c’è un dialogo. Tu della cucina hai lo spettacolo della cucina, non ha mai la comprensione della ricetta se non in fase molto basica, l’uovo fritto».
Striscia, dice Bruno Vespa, è la sua maledizione perché ha stravolto la seconda serata?
«L’ho visto e purtroppo mi tocca dire che ha ragione Vespa».
Ricci vorrà mica tornare ai vecchi orari?
«Ci siamo già tornati. Ci son stati momenti di anarchia ma se vede adesso si chiude alle 21.10 e mi sembra che a quei punti lì ci sia spazio per tutti. Arrivare fino alle 21.20 assicurerebbe molti più ascolti, ma ascolti inutili. Qualunque ascolto tu faccia in quella fascia, l’access, Rai Uno e Canale 5 sono primi, in testa. Il problema sorge nel podio, che in questo caso è formato da due ma terzo, quarto, quinto, sesto, settimo sono a distanze siderali».
Ma col digitale tutto questo si è ridotto?
«Si è un po’ ridotto ma manco tanto. Sono comunque a grandi distanze. Per cui in realtà se tu concentri troppi ascolti lì, andrai a sottrarli soprattutto alle tue reti. Se noi facciamo troppo non va bene e non va bene nemmeno per gli altri».
Non sarà arrivato il momento di riformare l’Auditel?
«Secondo me va riformato. Ma torno a dirti. Se Striscia va sino alle 21.20 per fare più ascolto e nel contempo partono Le Iene su Italia 1 e si beccano 20 minuti di Striscia sul gobbo, venendo danneggiate, andiamo a rovinare l’ascolto a loro che fanno parte comunque di Mediaset. Lo stesso avviene per le reti Rai, se il programma di RaiUno in access fa troppi ascolti allungandosi, va a danneggiare le altre reti».
È una gara a squadre?
«Esattamente. E tu puoi fare un ascolto che è commercialmente virtuale se in quella fascia, per gli spot, più soldi non te li danno. Non solo non ti danno un euro in più ma si crea un danno. Il giorno prima della conferenza stampa per Striscia io ho chiesto a quelli di Publitalia, "ma ci sono tutti questi talk, li vendete o no?". Loro mi hanno risposto, il mercato è abbastanza interessato. Chiaro, è interessato all’inizio poi vediamo.. Però la cosa demenziale è che l’Auditel è stato fatto dai pubblicitari e poi non viene considerato il target che è importante, quello commerciale, 15-64. Questo è il target di riferimento. La televisione cambierebbe se cambiasse l’Auditel. Ci sono tutta una serie di trasmissioni obsolete che raccolgono in termini di pubblico, le fiction, le storie dei santi ma non sono successi commerciali, nel target. Per cui c’è un’istigazione a fare un tipo di tv più vecchia perché apparentemente dà un successo».
Ritorniamo sui talk...
«Sì, io sui talk ho fatto una trasmissione, Cultura moderna, un quiz con un conduttore psicopatico, dove per vincere bisognava indovinare le domande. Il meccanismo era perfetto: un personaggio misterioso e tu dovevi indovinare chi era attraverso delle domande. È biondo? Sì. È donna? Sì? Rispondo, è Gigi Marzullo. Ma come? Arrivavano con la loro convinzione e davanti alle telecamere non c’era verso di fargli cambiare idea… È esattamente il talk. Sono lì per la loro esibizione e della ricerca del vero non gliene frega nulla, monologano, con i loro pregiudizi. Col loro essere macchiette perché così trovano una loro riconoscibilità».
Ma la parodia sul wrestling del talk non è wrestling a sua volta?
«Assolutamente sì. Però hai l’alibi dell’evidenziatore. Negli ultimi due anni nella rubrica dei nuovi mostri, i personaggi dei reality sono stati usurpati dai politici nei talk. Pensaci: Giovanardi non è così come si presenta in tv, ma cavalca il suo personaggio, spara quelle cavolate per avere visibilità e per trovare la sua ospitata in un talk, che invitandolo genera il contro ospite che è la Concia».
È vero che si sarebbe adoperato per far incontrare Grillo e Berlusconi?
«Magari. Come a chiunque mi sarebbe piaciuto assistere all’incontro e poi spifferare cosa si erano detti. Mi sarebbe piaciuto da matti...».