Simone Di Meo, Il Tempo 27/9/2013, 27 settembre 2013
SOGNI, INTERROGATORI, COMPARSATE TV. TUTTE LE CONTRADDIZIONI DI SERGIONE
Testimone a due velocità. Ha confessato ai pm milanesi di aver addirittura bloccato la rogatoria a Hong Kong per l’inchiesta sui diritti tv a carico del Cav, mentre a quelli napoletani si è limitato a riferire fatti dai contorni assai meno netti, tanto da aver dedicato alla vicenda appena una mezza paginetta di verbale. Ospite d’apertura, ieri sera, della nuova stagione di Servizio Pubblico di Michele Santoro, Sergio De Gregorio ha parlato delle presunte manovre messe in atto da Berlusconi, suo tramite, per far saltare l’indagine dei magistrati lombardi nelle terre d’Oriente. Una storia che, nel giro di pochi mesi, leggendo le carte giudiziarie vecchie e nuove, sembra essersi improvvisamente arricchita di tanti inediti retroscena mai emersi prima.
Nel suo primo interrogatorio con Woodcock&Co, infatti, l’ex senatore dipietrista non aveva parlato di sabotaggi o indebite pressioni per far arenare il provvedimento giudiziario. Aveva riferito, invece, di aver avvertito il Cav della rogatoria e di aver ricevuto da questi, dopo un consulto con Ghedini, l’incarico di «avanzare doglianze circa il suo coinvolgimento in indagini che a suo dire non lo riguardavano». De Gregorio si era messo in contatto «sia con la rappresentanza diplomatica di Hong Kong presso la Ue e in seguito con l’ambasciatore cinese pro tempore» per presentare delle «osservazioni circa il presunto mancato rispetto delle necessarie regole procedurali da parte dei magistrati italiani». Doglianze e osservazioni, va da sé, sono tutt’altra cosa rispetto a un piano per dinamitare le attività di un ufficio giudiziario. Eppure, questo detta a verbale l’ex senatore ai magistrati partenopei, depositando anche un foglio in bianco, senza intestazione, che dovrebbe essere l’appunto sulla rogatoria consegnatogli, a suo dire, dal console generale De Pedis. Non una carta giudiziaria, dunque, contenente informazioni top-secret, ma un promemoria anonimo sull’inchiesta come se ne potrebbero confezionare lavorando un po’ su Google. E, infatti, questo lo dice lo stesso De Gregorio ai magistrati sottolineando come si tratti «comunque di vicende sulle quali ci fu ampia eco sulla stampa e su Internet nel corso del 2006 e sulle quali si è dibattuto nel relativo dibattimento a Milano». In pratica, riportava il già detto. Coi pm lombardi che lo hanno recentemente interrogato, invece, l’ex politico ha riacquistato una fluidità di memoria che lo ha portato a più articolate e particolareggiate ricostruzioni.
De Gregorio è imputato, a Napoli, per corruzione in relazione alla presunta compravendita di parlamentari durante il secondo Governo Prodi nel 2007. Ha chiesto di patteggiare 20 mesi, mentre rischiano il rinvio a giudizio il Cav e Valter Lavitola. L’accusa è che l’ex giornalista d’assalto avrebbe ricevuto tre milioni di euro da Berlusconi per passare dal centrosinistra a Forza Italia, minando la già instabile maggioranza di Palazzo Madama e portare così alla caduta dell’esecutivo del Professore. Solo che, De Gregorio, tra un aneddoto e l’altro, si è lasciato scappare che, in fondo in fondo, non è che votasse in commissione Difesa, di cui era diventato presidente con i voti del centrodestra, contro le misure volute dal centrosinistra perché avesse i bigliettoni di Berlusconi nel portafogli, ma perché «ero sinceramente animato dalla volontà di promuovere le rivendicazioni dei corpi militari e delle forze dell’ordine, a mio avviso trascurate dal Governo Prodi e dalla sua maggioranza». Una ammissione che ha contribuito a rovinare i piani della Procura campana che nei mesi scorsi si è vista bocciare la richiesta di giudizio immediato dal gip Cimma che, non a caso, ha definito le dichiarazioni di De Gregorio fumose «in merito alle modalità e ai tempi dell’accordo», riscontrando anche che «la prova circa l’esistenza di un accordo corruttivo è tutt’altro che evidente, attesa la genericità» della denuncia del reo confesso. Il quale ha pure candidamente ammesso che «Berlusconi non sapeva che la maggior parte di questi soldi» sarebbe stata utilizzata «per coprire i buchi di cassa», convinto com’era il Cav che il denaro servisse a rafforzare il partito di De Gregorio, Italiani nel mondo («Oltre ad avere ottenuto l’obiettivo del finanziamento al movimento politico, volevo ottenere il chiaro obiettivo di essere ascritto alle forze della coalizione», ha spiegato ai magistrati l’ex politico). Un groviglio di contraddizioni che sta tenendo impegnato, per un bel po’ di udienze preliminari, il gup che ancora non ha deciso sul destino degli imputati.
Su tutta la vicenda giudiziaria soffia, inoltre, un vento soprannaturale che incasina ancora di più i fatti: il vero depositario dei presunti segreti inconfessabili sulla tratta dei parlamentari del 2007 oltre all’immancabile Lavitola (che però ha smentito) sarebbe infatti il senatore Romano Comincioli. Lui, secondo l’ex parlamentare IdV/FI, potrebbe confermare tutto. Ma non può, perché è morto. E le rogatorie nell’aldilà non sono ammesse, altro che Hong Kong.
Chi, invece, nonostante la dipartita si sarebbe fatto sentire è il papà di De Gregorio, che avrebbe esortato, in un sogno, il figlio a denunciare tutto alla magistratura e a liberarsi di questo insopprimibile peso sulla coscienza. E poco importa che, prima di correre in Procura, l’ex dipietrista abbia chiesto a Berlusconi di finanziare la produzione di «un film sul genocidio dei Curdi» tramite la major Medusa, richiesta respinta al mittente. È sempre il loquace Sergio a dirlo ai pm napoletani: «Preferivo, in sostanza, un aiuto successivo alla conclusione della mia carriera politica, ormai già programmata». Svanito l’aiuto, si è materializzato il fantasma.
Simone Di Meo