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 2013  settembre 27 Venerdì calendario

È LA STAMPA, EMINENZA


Se non fosse che rischia di diventare uno stalker, con tutte quelle telefonate in giro, bisognerebbe difendere papa Francesco dallo stalking dei grandi giornalisti. Da quando ha risposto a Scalfari con un bignamino del vecchio catechismo, che il destinatario da buon neofita ha scambiato per una rivelazione rivoluzionaria, non solo il Papa, ma qualunque sottana di cardinale, arcivescovo, vescovo, monsignore, prete di città e parroco di campagna viene inseguita da molesti direttori di giornaloni, preferibilmente atei o indifferenti al tema, che s’improvvisano grandi esperti in teologia, mariologia, liturgia, escatologia nella speranza di vedersi recapitare dal postino, se non una lettera, almeno un telegramma o un pizzino. L’altroieri erano tutti riuniti con le mani giunte al tempio di Adriano a Roma, su invito del cardinal Ra-vasi, insigne biblista, trombato eccellente all’ultimo conclave ma popolarissimo su twitter. Formazione: Roberto Napoletano del Sòla 24 Ore, Mario Calabresi de La Stampa, Ferruccio de Bortoli del Corriere , Emilio Carelli di Sky, Virman Cusenza del Messaggero e, per Repubblica , Ezio Mauro ed Eugenio Scalfari (la Santissima Duità, secondo il nuovo modello vaticano con Papa ed ex Papa). Ravasi, sempre molto cool, ha spiegato che Gesù era un twittatore perfetto: scandiva frasi di 140 caratteri o anche meno ed era anche un ottimo sceneggiatore (solo che le fiction le chiamava parabole). Ma il cardinale Scalfari, abituato ad abbattere ogni domenica i lettori con encicliche di mezzo milione di caratteri spazi esclusi, non raccoglie. E ricorda quando faceva “gli esercizi spirituali”, probabilmente nel casinò di cui era croupier da giovane. Poi aggiunge: “Devo molto ai gesuiti, ma sono innamorato dei francescani”. Specie dopo aver venduto la sua quota di Repubblica-Espresso a De Benedetti per una novantina di miliardi di lire. L’arcivescovo Calabresi – informa il Corriere – “non crede nelle verità assolute dell’informazione e invita a rispettare competenze ed esperienze”, anche perché “Fides e Ratio convivono nella persona e si bilanciano nella centralità della coscienza”. Sua Eminenza de Bortoli, dal canto suo, “si interroga sulla libertà”, e ne ha ben donde con gli editori che si ritrova. Poi rivela che “essere buoni giornalisti significa non pensare mai di essere depositari della verità”: il che spiega, fra l’altro, la presenza sul Corriere di Piero Ostellino. Per monsignor Mauro – riferisce ancora il Corriere – “il giornale, questa cattedrale di carta, resiste perché aiuta la ricerca di senso: oggi le notizie sono delle commodity, ma il giornale è un’altra cosa, non un semplice contenitore: deve far capire quello che è accaduto”. Ma attenzione, è il momento del teologo Napoletano, che non delude mai le attese: non si sa bene cosa c’entri, ma afferma che “lo spreco sovente non è denunciato dai comunicatori nella giusta maniera e ci si accanisce contro questioni marginali”. Insomma, ci vorrebbe un giornale, ad averlo. Fermo restando che – salmodia il Napoletano – “la ragione allarga il suo orizzonte con la fede, perché la fede ti sorprende, ha lo sguardo sull’abisso”. C’è dunque un che di religioso, di mistico, nell’abisso dei conti del suo giornale. Il caltagirologo Cusenza è tacitiano: “Francesco ci obbliga a una semplificazione del linguaggio: anche il giornalista deve andare alle ‘periferie’ culturali”, sperando che non si spinga anche nelle periferie di Roma e non veda gli obbrobri dei palazzinari editori. In compenso “anche le inchieste sullo Ior vanno a favore della Chiesa e incentivano l’azione di rinnovamento” (perché beninteso il Vaticano, senza le inchieste, non avrebbe saputo nulla di quanto accadeva allo Ior). Secondo Repubblica , è stato “un dibattito vivace”, e figuriamoci come sarebbe venuto se fosse stato noioso. Non è dato sapere se gli illustri porporati a mezzo stampa abbiano sciolto l’ultimo mistero doloroso: perché, negli ultimi cinque anni, i giornali hanno perso un milione di lettori. Una prece.