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 2013  settembre 27 Venerdì calendario

NELLA RIDOTTA DEL BUNKER CIRCONDATO DAI FALCHI PER LA BATTAGLIA FINALE

«Palazzo Grazioli sarà la nostra ridotta», dicono i parlamentari pidiellini. Nei prossimi mesi il clan sarà riunito lì, attorno al capo umiliato e costretto dentro le mura invalicabili di un fortino che è anzitutto dell’anima. Come è stato scritto, Silvio Berlusconi ha chiesto e ottenuto la residenza a Roma perché è a Roma che vuole scontare la pena, ai domiciliari o ai servizi sociali, comunque sia. Addio ad Arcore. O arrivederci, e in ogni caso è un commiato a un mondo, alla casa monumentale ma familiare, con la cappella, il parco per le passeggiate, i cani di Piersilvio, i fiori da curare nei lunedì di congedo dalla politica, le tracce dei ragazzi, del trionfo imprenditoriale, in cui non sono richiesti gli estenuanti compromessi della trattativa romana. La guerra si è deciso di combatterla in trincea, in prima linea, non nelle retrovie lombarde dove un po’ di dolce smarrimento sarebbe stato un’opportunità, e niente altro.

Mercoledì, Berlusconi era a Palazzo Grazioli. Quando ha raggiunto la sala da pranzo erano già tutti lì. Denis Verdini, Daniela Santanché, Renato Schifani, Fabrizio Cicchitto, Sandro Bondi, Renato Brunetta. Aspettavano il presidente, e che dalle cucine uscisse uno spuntino. Il cuoco Michele lavora da mattina a sera, i fuochi sempre accesi. Sforna pizzette, guarnisce tartine, e poi i pasti, il risotto, le penne al pomodoro e basilico, la tagliata di manzo. Sui tavoli ci sono acqua e coca cola e aranciata. I cioccolatini in vasi di Murano. C’è sempre qualcuno in arrivo da accogliere come si conviene. E insomma erano già tutti lì, seduti, pronti a rievocare gli spettri che da due mesi tengono Silvio sveglio la notte. Dicono che fino al giorno precedente fosse un po’ più sereno, gli era piaciuta Barbara a Ballarò , c’era Marina a Roma. Di colpo è crollato tutto. «Sono stati gli avvocati», dice uno che c’era. Forse, chissà, poi si è soffiato sul fuoco. «Ti arresteranno», gli hanno detto. Ci sono le procure in competizione a chi emetterà per prima la richiesta di custodia cautelare: Bari, Milano, Napoli. Nel giro di minuti si è deliberato di andare all’ultimo scontro con la baionetta innestata. E se dovrà scorrere il sangue, scorrerà.

Palazzo Grazioli è stato arredato nel 1995 da Giorgio Pes, allievo di Renzo Mongiardino, architetto e scenografo che ebbe due nomination agli Oscar e che nel Novecento si applicò alle case dei potenti d’Italia. Anche Pes lavorò per il cinema. Curò le scenografie del Gattopardo e di Boccaccio 70 . Negli anni Novanta sistemò Palazzo Chigi e Palazzo Grazioli, con una predilezione per lo stile classico che Berlusconi ama in forma ridondante, fino al rischio dell’effetto mausoleo. Palazzo Grazioli è rivestito di damascati giallo oro, tende in sintonia, mobili con decorazioni auree, sedute purpuree, colonnette di marmo, capitelli, legni intarsiati, caminetti. Ogni stanza è un armamentario di soprammobili che si sono moltiplicati negli anni, omaggio dopo omaggio: piccoli obelischi di granito, coppe di cristallo, argenteria barocca, calamai, candelieri, cornici portafoto, miniature del Colosseo, anfore, presepi. Ci muove passando dalla sala da pranzo alla sala riunioni, dalla zona notte agli uffici con scrivanie e computer, e personale iperattivo, dove vita privata e pubblica si contagiano geograficamente. Ed è lì, nelle notti romane, destinate a diventare la regola, che Berlusconi si aggira insonne fin quasi all’alba. Qualcuno attende alle sue necessità in un’atmosfera sfiancata e annichilita.

Il punto è questo: ad Arcore ci si deve andare apposta, a Palazzo Grazioli si passa appena c’è un momento. Se il giudice di sorveglianza consentirà, Berlusconi avrà dai suoi visite quotidiane. Lo aggiorneranno sui piani di battaglia mentre la battaglia infuria lì attorno, a Montecitorio che dista dieci minuti di cammino, Palazzo Madama qualcosa di meno, il Quirinale appena di più. Se piacciono i riferimenti suggestivi, oltre il cancello presidiato dai carabinieri, a chiudere la vista ci sono le mura di Palazzo Venezia. Non c’è fiato. Ci si cala psicologicamente nell’idea del bunker, in un contesto in cui il nemico non è più la magistratura ma la politica, tutta, cioè il resto del mondo. Arrivano uno dietro l’altro parlamentari in gara a chi meglio si straccia la camicia per parare i dardi col petto. A mettere in guardia sui disfattisti, sui traditori. Una volta arrivavano imprenditori, uomini delle banche, registi, sportivi. Tutto finito, soltanto colonnelli e sottocolonnelli che si attaccano a Berlusconi confidando nella grande arma segreta. Aspettano in un salottino con due divani e una poltrona, intrattenuti da una segretaria, da un collaboratore. Poi vengono ricevuti. Anche a piccoli gruppi. Si recitano geremiadi, si studiano le carte militari. L’ultimo è quello che condiziona l’umore del capo, sinché non arriverà il prossimo. Qualche volta lui si alza: «Scusate, sono stanco, devo andare a riposare». Si abbandona al sonno per pochi minuti.

Solamente il medico, Umberto Zangrillo, ha accesso diretto alle stanze del presidente. I due viaggiano i coppia. Dove va Berlusconi, va Zangrillo. E poi forse arriva Francesca Pascale. C’è Maria Rosaria Rossi, senatrice e attendente. Ci sono Alessia ed Elisabetta, giovani e impeccabili segretarie. Seguono gli orari impossibili del capo e i prossimi mesi non promettono riposo. Le cene - eleganti e non - sono state pressoché abolite. Quell’andirivieni di un tempo, quando si finiva di lavorare e si passava da palazzo a sentire per la centesima volta la medesima barzelletta, è interrotto. Non si guardano nemmeno le partite del Milan, quando Fabrizio Cicchitto difendeva roccioso la fede romanista. Non si ride. Rimangono consigli di guerra, parole risentite, scenari plumbei sempre più dettagliati. «O adesso o mai più». «Tutti insieme, costi quel che costi». Poi, quando è sera, gli ospiti mollano la presa e se ne vanno, lasciando Berlusconi nel suo labirinto.