la Repubblica 27/9/2013, 27 settembre 2013
LA TENTAZIONE DELL’ASSESSORE MORGANTE“ PRESTO POTREI LASCIARE L’INCARICO” [CRONACA ROMA]
È in crisi l’assessore al Bilancio Daniela Morgante. E non solo perché alle sue scelte sono appesi i destini della giunta Marino, dalle iniziative che riuscirà a mettere in atto per reperire gli 8-00 milioni necessari a chiudere il previsionale 2-013, in mancanza del quale Roma alla scadenza del 30 novembre verrà commissariata. È come se non si sentisse all’altezza del compito, della montagna di soldi da scalare per arrivare alla meta, prigioniera di un mondo — la politica — che non le appartiene, che fatica a comprendere e dalla quale si sente incompresa.
Lo ha confidato l’altra sera ad alcuni amici: «Presto potrei lasciare».
Una tentazione che si fa ogni giorno più forte. Complice il clima di freddezza, se non di palese ostilità, che da qualche tempo la circonda. «Forse non sono tagliata per questo mestiere, da magistrato sono abituata ad altri metodi di lavoro », si è sfogata, rivelando discussioni e incidenti di percorso che hanno funestato i suoi primi cento giorni in Campidoglio. Lasciando tuttavia intendere che, se infine dovesse accadere, l’addio non arriverà comunque prima di fine anno, dopo cioè aver salvatola baracca e portato a casa il documento di programmazione finanziaria.
Si sente come un pesce fuor d’acqua, la Morgante. Asserragliata nella sua ridotta al secondo piano di palazzo Senatorio, per settimane — fino a ieri — non ha voluto incontrare nessuno, né i consiglieri di maggioranza né i suoi colleghi assessori (sedute di giunta aparte) che chiedevano delucidazioni su alcune poste in bilancio. Non ha preso bene, l’assessore, lo stop alla nomina di Mauro Miccio — amico personale e professionista di cui si fida ciecamente — come consulente del suo dipartimento. Né la cabina di regia che il sindaco Marino ha voluto affiancarle nella stesura del Dpf, col vicesindaco Luigi Nieri a condurre i giochi. «In pra-tica non mi fanno toccare palla » si sarebbe lamentata. Portando a suffragio della tesi due circostanze: la delega sulle società partecipate, da sempre prerogativa del Bilancio, che il sindaco avrebbe trattenuto per sé e il fatto di saper poco o nulla della presunta trattativa che il Campidoglio sta portando avanti col governo per trovare copertura agli 8-00 milioni di buco.
Senza contare che, se infine si dovesse dimettere per davvero, in pochi la rimpiangerebbero. «La Morgante? Se non se ne va lei, mi sa che la mandiamo via noi » l’elegante commento di un collega di giunta. Meglio allora tornarsene alla Corte dei Conti, da dove in realtà non se n’è andata mai.