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 2013  settembre 27 Venerdì calendario

LITTLE BRITAIN

La Gran Bretagna un tempo era grande, in rapporto a come si misurava la grandezza a quei tempi. Aveva l’impero più grande, la flotta più grande, l’economia più prospera, il settore manifatturiero più produttivo al mondo e tutto nello stesso tempo. Quando mio nonno divenne apprendista saldatore a Glasgow, i cantieri navali di River Clyde, il fiume che scorre attraverso la città, producevano oltre la metà delle navi del mondo. Quando divenne operaio specializzato nella marina mercantile, lui — che era cresciuto in un villaggio di pescatori in Scozia, aveva abbandonato la scuola a 14 anni e aveva poco più di vent’anni — aveva sotto di sé malesi, indiani e cinesi.
Quello era il XIX secolo: la grandezza è perdurata nel XX, ma ha iniziato a dissolversi. La Germania era militarmente più forte, la forza industriale degli americani si stava evolvendo in quella che sarebbe diventata la potenza dominante. Un poco alla volta la Gran Bretagna ha perduto pezzi di impero. La vittoria nella Seconda guerra mondiale ne ha esaurito le risorse: gli Usa sono subentrati nel ruolo di poliziotti del mondo, e gli Stati europei, ripresisi energicamente dalla guerra, hanno iniziato i loro sorpassi della Gran Bretagna: Germania, Francia e Italia. Incapace o non disposta a modernizzarsi, la Gran Bretagna dagli anni Sessanta agli Ottanta è diventata “il malato d’Europa”, condizione dalla quale ormai si è ripresa.
Ma dietro all’esibizione usuale della modestia nazionale e della bassa opinione di sé — i britannici sono molto auto-denigratori — ci sono i ricordi della grandezza del passato e l’orgoglio per i successi del presente. Quando è provocata — com’è successo di recente a San Pietroburgo a David Cameron — , le memorie del passato e l’orgoglio del presente confluiscono per dar vita al discorso che Cameron ha dato in difesa dell’«isoletta». Dice il premier che la Gran Bretagna ha «una storia più fiera, un cuore più grande e una resilienza maggiore» di qualsiasi altro Stato. La sua storia è affascinante e ha molti momenti nobili, ma ha anche colonizzato vaste regioni del pianeta, ha promosso il commercio di schiavi prima di porgli fine, e nel XIX secolo ha sviluppato le teorie sulla superiorità della razza che sono state poi usate dai nazisti e da altri per commettere genocidi. Se dicendo «un cuore più grande» il premier intendeva dire che la Gran Bretagna fa molta carità, ha ragione: le donazioni britanniche sono tra le più alte al mondo, anche se l’entità di quelle private non si avvicina neppure lontanamente a quella degli americani. Se poi per «resilienza» alludeva alla capacità di sopportare le difficoltà, di sicuro ha ragione: i precedenti britannici nell’ultima guerra, quando nei primi anni fu l’unico Stato a opporre resistenza al nazismo, sono motivo d’orgoglio e segno d’audacia. Ma la Gran Bretagna è stata superata dai popoli dell’Urss e dell’Europa orientale, che durante, prima e dopo la guerra hanno dovuto patire sofferenze e privazioni ancora maggiori.
I britannici non hanno «inventato tutti gli sport che si giocano oggi», come sostiene Cameron: hanno inventato il golf e il rugby, ma gli antichi greci e romani già giocavano a una specie di calcio. Ciò che i britannici hanno fatto nello sport, oltre che in molti altri settori, è stato inquadrarlo e fissare le regole. In letteratura la Gran Bretagna ha avuto un talento eccezionale: Shakespeare. Nel campo delle arti, invece, la Gran Bretagna si è distinta meno: Turner è senza dubbio uno degli artisti di livello mondiale prima del XX secolo, ma la tradizione britannica è incomparabile rispetto a quella italiana. Anche nel campo della musica classica e moderna i risultati che ha raggiunto sono spesso eccelsi — Elgar, Delius, Vaughn Williams — ma pallidi rispetto a tedeschi, italiani, francesi e russi. Soltanto dai sixties in poi, la Gran Bretagna ha dato frutti eccelsi producendo star mondiali come i Beatles, i Rolling Stones, e molti altri gruppi.
I britannici non «hanno inventato la maggior parte di ciò che meritava di essere inventato», come dice Cameron, anche se sono autori di molte invenzioni, e ha avuto più premi Nobel per la scienza, la medicina e l’economia di qualsiasi altro paese al mondo, a eccezione degli Stati Uniti. In campo filosofico ha avuto risultati eccellenti in filosofia politica con Locke, Hobbes, Burke e Adam Smith; il personaggio più illustre che ha avuto nel campo della filosofia morale è David Hume senza il quale, disse Kant, il suo stesso lavoro sarebbe stato impossibile. Ma i filosofi tedeschi e francesi del XVII-XIX secolo furono a dir poco immensi, e così pure gli studiosi statunitensi del XX.
Ho chiesto a mio suocero, che è italiano, che cosa ne pensa di questa faccenda e mi ha risposto che egli ammira moltissimo la capacità britannica di mettere ordine nei processi democratici. Ecco, questo mi sembra un buon modo di vedere le cose: i britannici hanno favorito l’evoluzione di una società civile relativamente ben ordinata, con molte imperfezioni e ineguaglianze, ma tanto sicura quanto qualsiasi altro paese al mondo.
Cameron ha fatto bene a difendere il suo paese. Ma si è spinto un po’ troppo oltre: non ci serve una visione della nostra storia che esalti i suoi momenti eccelsi e sorvoli su quelli disdicevoli. Ci serve capire che cosa facciamo bene e che cosa sbagliamo, così da poter fare ancora meglio ed evitare gli errori. E ciò significa avere tanto umiltà quanto senso dell’onore.

(Traduzione di Anna Bissanti)