Isidoro Trovato, Corriere della Sera 27/9/2013, 27 settembre 2013
LA SOCIETÀ DEGLI APOTI IL DIRITTO DI
«NON BERLE» –
Caro Romano, vuole rinfrescare la memoria a me (e forse ad altri lettori) sul significato di «Partito degli apoti» che ho letto nell’intervento di un lettore?
Jolanda Sala
Pavia
Cara signora,
«A poti» è un neologismo greco-latino composto dall’alfa privativa della lingua greca e dal verbo latino «potare», bere. La parola fu coniata da Giuseppe Prezzolini in una lettera a Piero Gobetti apparsa sulla rivista Rivoluzione liberale il 28 settembre del 1922, esattamente un mese prima della Marcia su Roma, e significa, nella definizione dell’autore, «coloro che non le bevono». Prezzolini non propose la nascita di un «partito» e preferì parlare di «congregazione». Avrebbero dovuto farne parte, nelle sue intenzioni, tutti coloro che non volevano lasciarsi imprigionare nelle contrapposizioni partigiane che stavano dividendo l’Italia. Partecipare alla vita politica, in quelle condizioni, significava abbandonare «tutte quelle cautele dello spirito, quelle abitudini di pulizia e di elevazione, quelle regole di onestà intellettuale che la generale grossolanità, violenza e malafede rendono più che mai necessario mantenere».
Fra le varie ideologie in campo, Prezzolini non faceva distinzioni: «fascisti e comunisti, liberali e socialisti, popolari e democratici appartengono a un massimo comune denominatore, quello della media italianità attuale. I loro silenzi e le loro grida, i loro gesti e le loro gesta, le loro idee e la loro complicità, i loro programmi aperti e quelli taciti, i loro sistemi di lotta non variano molto; e quello che gli uni fanno, gli altri magari lo rimproverano, ma lo farebbero se ne avessero la possibilità e segretamente lo invidiano e se lo propongono per un’altra volta».
Gli apoti non avrebbero dovuto voltare le spalle al Paese, ma «fermarsi in certo modo controcorrente, stabilendo un punto solido dal quale il movimento in avanti riprenderà». So che la Congregazione degli apoti è parsa a molti un precursore del qualunquismo e di quei movimenti che predicano il disprezzo per la politica. A me sembra invece che Prezzolini, in quella lettera a Gobetti, rivendicasse semplicemente il diritto di ragionare con la sua testa senza obbedire a schemi di partito o di fazione. Fu questa probabilmente la ragione per cui accettò un incarico a Parigi presso un antenato dell’Unesco, l’Istituto internazionale della cooperazione intellettuale, e qualche anno dopo un cattedra di italianistica alla Columbia University di New York.