Chiara Lalli, Corriere della Sera 27/9/2013, 27 settembre 2013
L’UOMO E LA MOSCA COMPAGNI DI VIAGGIO
«È stato grazie a un tornado che la mia carriera di scienziato ha preso il volo». Una sola vita non basta (Rizzoli, pp. 342 19), il nuovo libro di Edoardo Boncinelli, comincia da un incontro fortuito al terminal della Twa di New York. È il 1984, Boncinelli è diretto in Colorado per una conferenza sulla biologia dello sviluppo ma le condizioni atmosferiche fanno sospendere il traffico aereo. Si forma un gruppo di passeggeri bloccati nell’attesa, tra cui lo scienziato svizzero Walter Gehring. I due si salutano e cominciano a raccontarsi come procedono le rispettive ricerche. È soprattutto Gehring a parlare, e la chiacchierata si trasforma presto in un’anteprima informale della sua futura relazione. Gehring aveva isolato tre geni omeotici della drosofila. In quel momento era chiaro quanto fossero importanti, ma non ancora come funzionassero. Di alto valore gerarchico e in grado di controllare altri geni, una loro mutazione può provocare profonde alterazioni nel corpo della mosca: non solo una zampa o un’ala, ma l’intero segmento di corpo dell’insetto che li contiene.
Che cosa accade nelle altre specie? Boncinelli decide di provare a rispondere a questa domanda, cioè di verificare se per i mammiferi valgono gli stessi meccanismi. La decisione si rivela felice: Boncinelli si avvia sulla strada che lo condurrà verso la scoperta «dell’esistenza nell’uomo di geni con un ruolo simile a quello dei geni omeotici nella drosofila».
Sarà la borsa vinta al Laboratorio internazionale di genetica e biofisica di Napoli a dare una direzione al suo futuro di ricercatore: comincia qui la sua avventura nella biologia molecolare. Era il 1967, a quel tempo non era stato ancora del tutto decifrato il codice genetico del Dna e «la biologia stava inaugurando proprio in quegli anni la sua stagione più favolosa». Il Laboratorio (Ligb, oggi inglobato dal Cnr) era d’avanguardia, voleva unire eccellenza tecnica a indipendenza politica e diventare fucina per la futura biologia molecolare italiana. E, nonostante il peso delle logiche clientelari e le traversie, ha mantenuto la promessa.
È nell’istituto di Napoli che Boncinelli scopre i geni omeotici nell’uomo. S’era chiarita da poco la natura di quelli della drosofila come controllori dell’azione di altri geni: davano per esempio il comando «ala» o «zampa», agendo come fattori trascrizionali. La scoperta non è importante solo sul piano scientifico. Ha un’eco filosofica: non siamo poi così «speciali», diversi da una mosca, almeno nei componenti fondamentali. È facile capire lo scombussolamento di chi si crede appartenente a una specie ontologicamente superiore alle altre. Ed è anche facile capire come questo tassello potrebbe contribuire a sgonfiare le paure ingiustificate verso la manipolazione genetica e gli Ogm, o ad ammorbidire le condanne moralistiche verso tecnologie come la diagnosi genetica di preimpianto.
Seguire Boncinelli significa ripercorrere anni scientificamente incredibili: la scoperta del funzionamento dei geni, la nascita della biologia molecolare — futura ingegneria genetica — e l’avanzare dell’embriologia, la comparsa delle cellule staminali, l’affinamento di metodologie e tecniche, il potenziale per la clinica e la salute umana. E, ovviamente, il sequenziamento del genoma umano, che solo negli anni 80 si credeva un sogno fantascientifico.
Gli ultimi decenni hanno cambiato il nostro panorama di conoscenze molto più profondamente di secoli di storia passata. Ripercorrere la carriera di Boncinelli non è solo un’occasione per immergersi negli anni che hanno cambiato il mondo, ma anche per riflettere sulla salute cagionevole delle cosiddette scienze umane.