Sofia Ventura, L’Espresso 27/9/2013, 27 settembre 2013
SE MATTEO FA BLING BLING
La vittima più illustre ne fu Nicolas Sarkozy. Ci riferiamo all’effetto bling bling, espressione onomatopeica che richiama il tintinnio dei gioielli e che indica l’ostentazione di uno stile di vita appariscente. All’ex presidente francese il marchio bling bling fu attribuito dai media soprattutto per le frequentazioni vip e milionarie. Il crollo della sua popolarità fu legato in primo luogo alla percezione dell’inefficacia della sua politica economica, ma un ruolo fu svolto anche dall’immagine bling bling che Sarkozy proiettò sin dall’inizio e della quale fece poi fatica a disfarsi.
PERCHÉ NE PARLIAMO? Perché, in scala minore, nella politica italiana qualcun altro oggi rischia di subire quell’effetto: Matteo Renzi. Certo, Renzi non ostenta vistosi Rolex e non si fa ospitare in sontuosi yacht di amici milionari. Ultimamente, però, alcuni nomi sono stati affiancati al suo, in particolare quelli dell’eccentrico stilista Roberto Cavalli, del quale ha presentato il libro a Milano, e quello di Alfonso Signorini, direttore del settimanale "Chi" ("catalogo devozionale della Real Casa", quella di Berlusconi, ovviamente, nelle parole di Filippo Ceccarelli), con il quale è andato a pranzo a Firenze.
Non ci interessa proporre valutazioni moraleggianti sugli incontri del sindaco di Firenze. Ci chiediamo però a cosa servano e soprattutto come incidano sulla sua immagine.
È attraverso la propria immagine che un leader trasmette - o non trasmette - fiducia, sicurezza, dinamismo e tutti quei tratti della personalità che gli consentono di affermarsi presso l’opinione pubblica. E l’immagine prende forma attraverso una molteplicità di fattori: l’aspetto, la mimica, il tono della voce e il modo di esprimersi, la forma e i contenuti dei discorsi, i comportamenti pubblici filtrati e riproposti dai media.
Renzi ne è sicuramente consapevole e sarebbe da ingenui ritenere che quegli incontri "vip" siano stati casuali. Il sindaco di Firenze vuole guadagnare una fetta di consensi anche nel mondo del centrodestra e probabilmente ha ritenuto che anche quella possa essere una strada. Ma qui, purtroppo, siamo di fronte all’ennesima dimostrazione che quando si vuole fare tutto da soli, non sempre si sceglie la via più appropriata. Forse qualche saggio consigliere, qualcuno che di comunicazione ne sa un po’ più di lui, avrebbe potuto fargli notare che del berlusconismo non è da recuperare l’aspetto glamour. Chi si abbevera al gossip nostrano e alla soap di Silvio, Piersilvio, Marina, Barbara eccetera, non ha motivo di innamorarsi del giovane fiorentino del quale non c’è molto da raccontare, rimane fedele al suo istrionico narratore di favole.
Ciò che c’è da recuperare della vicenda berlusconiana è la rivoluzione liberale (tradita), quella rivoluzione che interessa il cosiddetto ceto medio produttivo, quei lavoratori autonomi, quelle partite Iva che anche a causa di uno Stato parassitario e inefficiente stanno andando verso l’impoverimento o l’esilio volontario. A questo insieme di cittadini si comunica trasmettendo un’immagine di solidità, di sicurezza, di volontà e decisione, proponendo contenuti chiari e convincenti. Di Cavalli e Signorini a quegli elettori non importa molto, anzi, potrebbero provare fastidio di fronte a comportamenti che - vero o non vero che sia - comunicano una certa vacuità e superficialità, una tentazione bling bling. Jacques Séguéla avrebbe potuto suggerire a Renzi che nell’epoca della crisi le campagne più efficaci sono quelle "alla Merkel che fa la spesa al supermercato vicino a casa".
E non serve a nulla fare ironia preventiva sulle critiche attese o spendersi in tv per spiegare il perché di quelle scelte. Ciò che conta è l’immagine che si proietta e che non si cancella con parole di sufficienza, un po’ annoiate o seccate.
LA COMUNICAZIONE è una cosa seria ed è un errore credere che si possa fare affidamento solo sulle proprie naturali capacità. Sorprende che Matteo Renzi non se ne sia ancora convinto fino in fondo. Vediamo quanto ancora vorrà farci aspettare.