Elisa Manacorda, L’Espresso 27/9/2013, 27 settembre 2013
LA MATEMATICA? È IN ASIA
Provateci voi, a imparare a memoria 4.700 logogrammi, più tutte le loro possibili combinazioni. Se doveste mai riuscirci, come in effetti deve fare un buono studente di liceo a Taiwan, magari anche le tabelline vi verrebbero più facili. Perché è forse qui, in questo titanico sforzo mnemonico richiesto ai giovani orientali, il segreto del loro successo anche in altri settori. Quello dei numeri, in particolare.
Che gli asiatici siano decisamente più bravi di noi occidentali in fatto di calcoli lo dice per esempio l’ultimo "Trends in International Mathematics and Science Study" (Timss), il rapporto sviluppato dalla International Association for the Evaluation of Educational Achievement (Iea) che dal 1995 ogni quattro anni fa il punto sulle competenze scientifiche e matematiche dei bambini di scuola primaria e secondaria in tutto il mondo. «L’obiettivo», spiega Elisa Caponera, ricercatrice dell’istituto Invalsi che coordina la parte italiana del Timss, «è quello di identificare le caratteristiche dei Paesi più avanzati per comprenderne i diversi sistemi educativi e proporre soluzioni per migliorare l’insegnamento delle materie scientifiche.
Ebbene: i dati dicono che in questa gara non c’è proprio storia. I paesi asiatici (Corea del Sud, Singapore, Taiwan, Hong Kong e Giappone) occupano saldamente i primi cinque posti della classifica, seguiti da Russia e Israele. Poi fa timidamente capolino la Finlandia, quindi gli Stati Uniti e infine l’Inghilterra (con il Galles). Non solo. In ogni paese esaminato, racconta ancora la coordinatrice italiana del Timss, troviamo circa il 15 per cento di studenti nel livello avanzato. Piccoli geni dei numeri, ragazzi che le equazioni differenziali se le mangiano a colazione. In Asia, questa percentuale sale al 40 per cento.
L’Italia? Non c’è molto da stare allegri. I risultati dei test (messi a punto dagli americani del Boston College e poi tradotti e adattati alle realtà locali) sottoposti ai bambini di quarta elementare e di terza media, dicono che nella scuola primaria ci posizioniamo al ventunesimo posto, e appena sopra la linea di galleggiamento. Un andamento, dicono dall’Invalsi, in linea con la media Ocse. E va bene. Ma se esaminiamo i risultati della scuola secondaria, scopriamo che siamo ben al di sotto della media. «Vero», continua Caponera, «però questo punteggio rappresenta un netto miglioramento rispetto agli anni precedenti: in algebra, per esempio, abbiamo recuperato quasi 30 punti rispetto alla scorsa rilevazione». Dunque dobbiamo anche essere contenti.
Resta però il fatto che anche americani, olandesi o inglesi (che se la cavano in generale molto meglio di noi) sono ampiamente surclassati dagli orientali. E ci si chiede: a cosa è dovuta questa straordinaria superiorità nel far di conto? Sarà forse un’eredità di Confucio, fondatore di una scuola creativa che prevedeva, oltre a politica, musica, calligrafia, tiro con l’arco e guida del carro, anche la matematica? O sarà invece merito dei più efficienti sistemi di istruzione? Elisabetta Corsi, che insegna Sinologia alla Sapienza Università di Roma, prova a dare qualche spiegazione. «Lascerei perdere Confucio e la sua concezione cosmologica: in fondo anche nella tradizione cristiana Dio, spesso raffigurato con il compasso in mano, è il geometra dell’universo. La Bibbia è piena di numeri perfetti, e scienziati come Keplero e Newton hanno cercato di unire mistica e matematica per comprendere le leggi armoniche che regolano il nostro mondo», dice. Dunque dobbiamo trovare altre ragioni. E una potrebbe essere cercata proprio nei segni grafici delle lingue sinofone, che accomunano al cinese anche il coreano o il giapponese. «Penso che l’abitudine alla visualizzazione e rappresentazione grafica dei concetti, come avviene con gli ideogrammi, predisponga al pensiero complesso, come è quello matematico e scientifico», continua Corsi. Soprattutto, lo sforzo richiesto per ricordare migliaia di segni differenti aiuta il cervello a pensare la complessità. D’altra parte, continua la studiosa, «le scienze cognitive hanno mostrato che le regioni del cervello usate da un cinese o da un giapponese per parlare e scrivere sono diverse da quelle che si attivano in un individuo che usa le lingue alfabetiche».
Dunque potrebbe essere nel cervello che si annida una possibile spiegazione di questa speciale familiarità con i numeri. «Non esiste una singola regione cerebrale che sovrintende all’abilità del calcolo», dettaglia Stefano Cappa, professore di Neuroscienze cognitive all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e membro della Società Italiana di Neurologia: «Quella del "bernoccolo della matematica" è un’idea antica, e sbagliata». Calcolare è una funzione complessa: consiste innanzitutto nell’elaborare i numeri (dunque saperli leggere e scrivere, il che presuppone abilità grafiche e linguistiche) e dare loro un significato, il che implica il concetto di quantità.
Ma ragionare per quantità è una caratteristica non esclusiva della nostra specie. Secondo uno studio di alcuni ricercatori dell’Università di Otago in Nuova Zelanda, pubblicato su "Science", persino i piccioni sarebbero capaci di discriminare gruppi di oggetti più numerosi da quelli meno consistenti, e mettere in ordine immagini diverse a seconda del numero di elementi che contengono. Infine c’è il sistema del calcolo, cioè la capacità di fare addizioni e sottrazioni, fino a risolvere equazioni differenziali. Tutte e tre queste componenti concorrono al pensiero matematico, e mettono in gioco diversi sistemi sia nell’emisfero destro che in quello sinistro, come dimostrano le immagini della Risonanza magnetica funzionale. Ma un ruolo cruciale lo svolge certamente il lobo parietale. «Sappiamo che i bambini affetti da un disturbo dell’apprendimento come la discalculia presentano delle alterazioni, seppur minime, proprio in questa regione», spiega Cappa. Dunque chi presenta una maggiore complessità strutturale di quest’area, con solchi e circonvoluzioni articolate, può effettivamente trovarsi più a suo agio davanti a una radice quadrata. Ma, avverte ancora il neuroscienziato: «Non ha senso tenere separata la genetica dall’ambiente e dall’educazione, visto che questi ultimi due fattori sono in grado di modificare la fisiologia del cervello».
Eppure c’è anche chi ha una tale fiducia nella fisiologia da aver analizzato i benefici della stimolazione elettrica del cervello per migliorare le performance in aritmetica: secondo Cohen Kadosh, scienziato cognitivo all’Università di Oxford, che qualche settimana fa ha pubblicato i risultati del suo studio su "Nature", nel quale sostiene che un leggero elettroshock (Transcranial direct-current stimulation) aiuta a imparare e a ricordare l’abilità nel calcolo. Con benefici duraturi nel tempo: sei mesi dopo l’esperimento, i volontari mostravano una capacità di risoluzione di problemi matematici superiore del 28 per cento rispetto al periodo precedente la stimolazione.
Insomma, sembra proprio che una qualche connessione tra le abilità matematiche e la fisiologia del nostro cervello ci sia. Anche se, concordano gli esperti, su questa materia cerebrale agiscono, con prepotenza, gli stimoli e l’ambiente nel quali i ragazzi vivono. Prendiamo i sistemi di istruzione dei paesi in cima alla classifica dei giovani matematici. «Hong Kong è un paese molto piccolo e molto ricco, e sappiamo che questi sono due fattori fondamentali per stimolare l’eccellenza, in tutti i settori», spiega Corsi: «A Taiwan le università raggiungono i primi posti nei ranking internazionali, ci sono investimenti a lungo termine nel settore della formazione, e l’efficienza è un grande motore del Paese».
Sarà vero, ma resta il fatto che a raggiungere i risultati migliori in matematica sono anche i ragazzi di origine asiatica che da tempo vivono negli Usa, e dunque integrati nello stesso sistema educativo, quello pubblico americano. Uno studio appena apparso su "Psychology of Women Quarterly" fa luce sul fenomeno. Un gruppo di psicologi dell’Università del Maryland ha chiesto di eseguire test in matematica e scienze a 367 studenti di scuola secondaria afroamericani, latini, asiatici americani e caucasici. I risultati dell’indagine mostrano chiaramente come ad ottenere performance nettamente superiori a quelle di tutti gli altri gruppi siano gli adolescenti di origine orientale. I risultati peggiori, invece, sono quelli raggiunti dai ragazzi afroamericani e latini. Ancora più interessante il fatto che a segnare i punteggi più alti nei test fossero non soltanto i maschi, ma anche le femmine asiatico-americane. Sfatando così un luogo comune abbastanza diffuso, secondo cui le ragazze sarebbero intrinsecamente incapaci, per non meglio precisate ragioni biologiche, di avere a che fare con i numeri. Ma questo è un altro dilemma.