Giovanni Audiffredi, Vanity Fair 25/9/2013, 25 settembre 2013
DIMMI SÌ
«QUANDO MI SONO MESSA IN TESTA DI ARRIVARE A SILVIO BERLUSCONI ERO ANCORA MINORENNE, SA?».
In questa frase – pronunciata con un sorriso all’inizio della sua prima intervista da first lady di Arcore – c’è tutta Francesca Pascale. La caparbietà mescolata a un napoletanissimo senso dell’ironia che, invece di aggirare un argomento scomodo, lo trasforma nell’occasione per una battuta.
Non c’è da stupirsi che Silvio Berlusconi, dopo aver «subito», come dice lei, cinque anni di corteggiamento, si sia arreso nel Natale del 2011. E abbia tirato fuori dall’abete un notevole diamante solitario di fidanzamento.
Il perché ce lo spiega lui stesso, in una pausa del servizio fotografico. «In tutte le situazioni più dolorose degli ultimi anni, Francesca ha saputo starmi vicino. Mi ha regalato gioia, senza chiedere nulla in cambio. Mi ha ridato la voglia di credere nell’amore sincero di una donna. Sono grato di averla avuta al mio fianco, così come sono grato di avere avuto accanto tutti i miei figli. In particolare Marina: è diventata quasi una nuova mamma, per me».
C’è tensione ad Arcore. La troupe di Vanity Fair viene ricevuta nel giorno in cui l’ex premier registra il messaggio agli italiani. Attraversiamo controlli e cancelli di una residenza diventata fortino. E nel pomeriggio, mentre il fotografo sta ancora scattando, arriva la notizia che la Cassazione ha respinto il ricorso della Fininvest contro il risarcimento dovuto alla Cir della famiglia De Benedetti nell’ambito dell’antica guerra per la proprietà di Mondadori. Il gruppo dovrà pagare 494 milioni di euro.
«Questi sono i giorni peggiori della mia vita», commenta Berlusconi. Che, ovviamente, non si arrende, anzi: rifonda Forza Italia e invita i cittadini a scendere in campo.
Tra gli italiani pronti a mobilitarsi c’è la famiglia Pascale. «Sono cresciuta con Berlusconi nel Dna», dice Francesca. «I miei sono tra i milioni che lo votano dal 1994 perché, ancora prima che scendesse in campo, lo ammiravano come imprenditore».
Da Fuorigrotta ad Arcore. Come ha fatto, Francesca?
«Militando. Ho iniziato nel partito con Fulvio Martusciello, consigliere regionale della Campania. E, nel 2006, mi sono candidata alle Comunali di Napoli».
Scusi, ma lei non voleva fare Tv? La «velina» di Telecafone?
«Quella è stata una ragazzata. Non lo considero neanche un errore di gioventù. Semplicemente un gioco, sul quale si ricama per screditarmi».
Si offende?
«No: è acqua strapassata».
E l’elezione come è andata?
«Male, ma lo sapevo. Del resto al Sud le elezioni sono viste come un’opportunità, si candidano tutti. Solo nel mio palazzo eravamo in sei, ognuno per un partito diverso».
Male, quanto?
«88 preferenze, una figuraccia. Ma non mi sono data per vinta».
Ovvero?
«Con Martusciello abbiamo fondato un comitato di pazzi: “Silvio ci manchi”. Non ci rassegnavamo all’idea di Romano Prodi premier. Eravamo ultras. Berlusconi parla a Trieste? E noi prendiamo il treno. Va a Cagliari? E noi stiamo sotto il palco. Ci pagavamo tutto da soli, ci arrangiavamo».
E così Berlusconi si è accorto di voi?
«L’incontro vero c’è stato quando siamo andati a Roma perché Al Jazeera, per un reportage, stava cercando giovani del partito da intervistare. Berlusconi era in un albergo a un incontro con gli eurodeputati. Martusciello mi chiama e mi dice che forse è arrivata l’occasione che inseguo da un anno. Corro ai Parioli con gli altri, ci piazziamo davanti all’ingresso, facciamo cagnara per catturare la sua attenzione. Quando me lo sono trovato davanti ho saputo dire solo: “Presidente, quanto è bello lei”. Lo so che sembra patetico, e un po’ me ne vergogno, ma era un’emozione sincera, incontenibile».
Lui come ha reagito?
«Ci ha detto di fermarci a pranzo. E durante il pranzo ci ha raggiunto per capire chi eravamo. Pochi minuti, ma non ho perso tempo. Gli ho subito domandato se potevo lasciargli il numero di telefono. Gli ho anche chiesto il suo. Quando mi ricapita un’occasione così?».
E Berlusconi?
«Mi ha detto: “Ma sei spietata”. Però ha preso il mio, e basta. Era il 5 ottobre 2006».
Un giorno felice?
«Misto. Rientro a Napoli da trionfatrice. A casa, mia madre mi fa: “Lo ammiriamo anche noi, ma potrebbe essere tuo padre”. A me però la differenza di età non importava affatto, pensavo solo che non mi avrebbe mai chiamata. Che avevo avuto l’occasione, e l’avevo sprecata».
E invece?
«Pochi giorni dopo, quasi a mezzanotte, chiama».
Pronto, sono Silvio Berlusconi, come va?
«Esatto. Non ci credevo. Mi ha chiesto di richiamarlo subito, ha riattaccato. Ma io non avevo nemmeno il credito nel cellulare. Ho dovuto chiamare SOS Ricarica. E poi, finalmente, ho fatto il numero. Eccomi, Presidente. Lui mi ha detto che voleva fare al comitato un regalo: visita a Villa Certosa. Ci mandava lui l’aereo, da Napoli a Roma, e da lì in Sardegna».
Chissà che faccia, Martusciello.
«Veramente lui non ce l’abbiamo portato. Berlusconi voleva premiare i ragazzi, non i politici d’esperienza. Siamo partiti in una decina».
Come è andata?
«Impressionante. Tutto perfetto, stravagante, sofisticato. Ci siamo fermati a dormire nelle dépendance. Più faceva il padrone di casa, più parlava e più ero affascinata. Non mi piaceva solo il politico: era l’uomo che volevo».
Glielo ha detto?
«No, mi sono trattenuta dalla prima mossa, perché lui era un uomo sposato, padre di famiglia, e questo lo volevo rispettare. Sono orgogliosa di averlo fatto».
Però non se l’è tolto dalla testa.
«Ho continuato a seguirlo, ma non ci vedevamo mai in privato. A volte parlavamo al telefono. Con altri giovani di Forza Italia, andavo a salutarlo dopo i comizi».
I politici di professione non trovavano strana la vostra presenza?
«C’erano gelosie. Noi vicino al leader e loro, magari con una carica importante, qualche posto più in là. La grandezza di Berlusconi è anche questa».
Chi erano i suoi referenti politici?
«Ormai non ne avevo: il mio rapporto con Berlusconi era diretto».
È stato lui a candidarla alle Provinciali di Napoli, nel 2009.
«Guardi però che erano in tanti, nel partito, a credere in me. Anche alle ultime Politiche mi volevano in lista per il Parlamento. Sono stata io a rifiutare».
Quella volta invece ha accettato: eletta in Consiglio con 8 mila preferenze nel collegio uninominale. Ma tre anni dopo ha dato le dimissioni: perché?
«La politica delle aule non fa per me: troppo tempo perso, troppe gazzarre inutili. E poi il legame con Berlusconi era cambiato, da amicizia forzata a storia d’amore. Riuscivo sempre meno ad andare in Consiglio. Mi spiace se ho deluso chi mi aveva dato il suo voto, ma tenere l’incarico, senza potermici dedicare con la serietà che richiede, sarebbe stato peggio».
Intanto c’era stata la separazione da Veronica Lario: ne parlavate?
«Lui ne soffriva. Venerava la famiglia, per lui veniva sopra ogni cosa. Amava moltissimo Veronica Lario».
Quando sono cambiate le cose, tra voi?
«La sera in cui Berlusconi è stato aggredito a Milano, 13 dicembre 2009, ero in piazza Duomo. Pensavo gli avessero sparato, sono svenuta. Poi sono corsa al San Raffaele. Nessuno mi voleva lì. E invece mi sono fatta tutte le notti al suo capezzale. Andavo in albergo la mattina a darmi una sistemata, e tornavo. Una sera, parlando lì in ospedale, si confida, racconta della sua vita sentimentale, delle delusioni, delle donne che gli giravano attorno. E allora decido che è il momento giusto per dichiararmi, per dirgli che sono innamorata, e lo sono da un pezzo».
E lui?
«Mi dice: non se ne parla neppure, sei troppo giovane, non posso darti il futuro che meriti».
Ha messo le mani avanti.
«No, mi ha proprio rifiutata. Guardi che Berlusconi mi ha sempre fatto penare. Il mio è un corteggiamento infinito: dura ancora oggi. Anche quando mi ha dato l’anello, non è che mi abbia fatto una dichiarazione d’amore in piena regola. Ma non importa: anche se un po’ a denti stretti, un anello di fidanzamento è una promessa».
Da quando lei viene respinta, nel dicembre 2009, all’anello, nel Natale 2011, passano due anni. E sono tantissime le donne che dicono di essere state intime di Berlusconi in quei due anni.
«Era un uomo single. E, spesso, un uomo molto solo. Ricco, potente, affascinante, galante per natura: le donne gli si gettavano addosso. Ci sarà anche stato chi ha creduto di amarlo sul serio. Certamente molte si sono approfittate di lui, perché aveva abbassato la guardia».
E lei?
«Ci stavo male. Ero gelosissima, perché volevo Berlusconi con tutto il mio cuore, con una intensità così forte che è difficile da trasmettere. Sono gelosissima anche oggi: gli frugo nelle tasche, ci trovo i bigliettini delle fan, li strappo. E scatta il bisticcio».
Insisto: parliamo dei due anni del caso Tarantini, di Sabina Began a Palazzo Grazioli.
«È il periodo della diffidenza, della disillusione, dell’incapacità di provare amore vero per una donna. Per lui quel sentimento non esisteva più. Ai suoi occhi ero un’illusa, una sognatrice. Non è stato facile per me. E a quelle cene non ci andavo, perché non mi sarei tenuta».
Come lo giustificava?
«Non aveva bisogno della mia giustificazione. Ma per me quei momenti, che sono stati ingigantiti e stravolti da troppi racconti fasulli, erano il suo modo di ripulirsi la testa, di dimenticare per qualche ora i problemi. E forse c’è stata un po’ di imprudenza da parte sua, ma accentuata dal fatto che una certa magistratura ha voluto colpirlo nella sfera del privato con una campagna diffamatoria, e allora lo ha spiato con migliaia di intercettazioni da cui non è emersa neppure l’ombra di un reato: solo pettegolezzi».
Secondo i giudici che l’hanno condannato in primo grado a 7 anni e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per il caso Ruby, un reato c’è: concussione per costrizione.
«È una vergogna. È assurdo pensare che uno come lui – uno che è gentile e rispettoso con tutti, a partire dai più umili, uno a cui tanti offrono spontaneamente la propria disponibilità – possa essere scortese, o addirittura minacciare qualcuno al telefono. La sua chiamata serviva solo per chiedere un’informazione. Davvero è un’accusa incredibile. Che, tra l’altro, contrasta totalmente con la testimonianza del funzionario in questione».
I magistrati sono anche convinti che le cosiddette «cene eleganti» facessero parte di un «sistema prostitutivo».
«Il mio Presidente non è un santo, ma è assolutamente incapace di trattare le donne come oggetti. Il processo Ruby è un processo alla morale, alla vita privata, un taglia e cuci di pettegolezzi con il solo intento di screditarlo agli occhi della gente. Ma la gente, alle ultime elezioni, ha dimostrato che il giudizio sui comportamenti privati non incide quando si tratta di votare una persona capace di risolvere i problemi del Paese. Andate a un comizio di Berlusconi, contate le belle ragazze che cercano di avvicinarlo. Tutte escort?».
È un fatto che Berlusconi dona mensilmente somme di denaro a molte giovani coinvolte in quella vicenda. Non le dà fastidio?
«No. Perché quelle che sono state additate come escort, quelle che magari sognavano una parte in un film, una carriera in Tv, un po’ di celebrità, e che ora vorrebbero solo un lavoro o un matrimonio normale, devono convivere con un marchio che tutto l’oro del mondo non può cancellare».
A un certo punto, in quel periodo, si è iniziato a parlare di una presunta fidanzata di Berlusconi, che sarebbe stata presente anche a qualche cena. Ed è iniziata la caccia al nome. Come mai nessuno ha fatto il suo?
«Il mio nome alla fine lo ha fatto lui, è questo che conta per me. Non sono l’alibi di Berlusconi. Da quel 2009 io ci sono sempre stata: ho scelto di accettare questo rapporto anche se sapevo che poteva essere un rapporto a senso unico. Siamo fidanzati “a doppio senso” da meno di due anni. Prima mi limitavo a stargli vicino, a condividerlo, a ingoiare rospi se preferisce, ma il mio amore mi ha portato all’esclusività e alla felicità di oggi».
Qual è la prova d’amore di Berlusconi?
«Sceglierne una invece che cento».
Lei in privato come lo chiama?
«Amore, o B. Mai Silvio».
Oltre alle donne, quali sono i motivi di litigio?
«Siamo una coppia movimentata. Lui mi dà dell’isterica, io gli rispondo che si meriterebbe di tornare a qualche passata frequentazione. Iniziamo strillando e finiamo ridendo. Abbiamo un bell’equilibrio».
Poco fa Berlusconi mi ha detto che lei è fin troppo rigorosa. Che il suo sorriso e i suoi modi dolci nascondono una donna che non conosce i mezzi termini.
«È vero. Tollero molte cose, non la doppiezza e la maleducazione. Sono permalosa. Di contro, lui è troppo indulgente. Le persone alle quali ha voluto bene, e ora non lo meritano più perché hanno tradito la sua fiducia, lui non le dimentica. Anzi, nel caso le aiuta».
È stata bene accolta in famiglia. In particolare dalla primogenita, Marina. Come ha fatto ad averla per «alleata»?
«Sono orgogliosa di questo rapporto affettuoso. Marina per me è un esempio: manager efficientissima, madre e moglie impeccabile, figlia iperpremurosa. Credo abbia capito, prima e più di tanti, quanto io ami suo padre. E proprio per questo ha cominciato a volermi bene».
Con Barbara che rapporto ha?
«La conosco meno, però ammiro la sua determinazione, la sua caparbietà. Quello che mi colpisce, di tutti i figli di Berlusconi, è la loro modestia, la loro semplicità. Non sanno davvero che cosa sia l’arroganza. E non mi hanno mai fatta sentire un’estranea».
Da quando vive ad Arcore come le è cambiata la vita?
«Questa è una dimora splendida, ma non pensi che si viva tra etichetta, cambi d’abito e favole del genere. Certo il tenore della mia vita è cambiato, e questo è gratificante, ma non fondamentale per me. Il vero lusso credo sia rimanere se stessi».
È un momento nero per Berlusconi. Cosa pensa della sentenza Mediaset?
«Penso che qualcosa non torna. Che è vero che le sentenze vanno rispettate, ma quando sono sentenze di giudici imparziali. Non è il caso della sentenza Mediaset, né di quella Mondadori».
Si spieghi meglio.
«Mediaset non ha commesso alcuna evasione. Infatti, i manager di Mediaset che firmano i bilanci sono stati assolti. Perché lui, che non ha mai sottoscritto un documento, una dichiarazione, un contratto, viene condannato? Perché un gruppo che paga miliardi di euro di tasse dovrebbe evadere per un importo minimo? Perché non avrebbero approfittato del condono tombale se avessero avuto la consapevolezza di aver evaso? E perché, quando a evadere sono stati altri italiani famosi, hanno sempre pagato solo delle multe? A chi non crede – come invece ci credo io – che ci sia un complotto di una parte della magistratura per espellere dalla vita politica il leader del centrodestra, chiederei di farsi queste domande la prossima volta che si andrà a votare».
Berlusconi non vuole chiedere la grazia, e difficilmente sarà messo agli arresti domiciliari: è più probabile l’affidamento ai servizi sociali. Come pensa che lo affronterà?
«Con stile, come affronta qualunque cosa. È una vita che fa del bene, che aiuta in silenzio i più deboli, i più poveri, tutti quelli che hanno bisogno. La vergogna è che gli avversari politici vogliano umiliarlo. Vogliono veder soffrire il nemico perché sanno che è un nemico vincente».
Preoccupata?
«Vivo in prima linea la sua storia. Certo che temo per lui: c’è un fuoco di fila che non accenna a fermarsi».
Berlusconi dovrà piegarsi?
«Non credo. C’è ancora il ricorso alla Corte di Strasburgo: i suoi diritti umani sono stati violati per annientare il leader politico. In ogni caso, non si spezzerà. E il rilancio di Forza Italia è la dimostrazione che non è finito».
Parla la militante?
«Sono sempre io, già pronta con la bandiera in pugno».
Berlusconi non sarà comunque eterno. Che cosa resterà dell’uomo politico?
«Ha fondato un movimento che ha riscosso un successo straordinario, ha stravolto e innovato la politica italiana, ha creato il centrodestra di governo. È stato, ed è, un leader unico».
Lei ha solo 28 anni, lui ne compie 77 a giorni. Ci pensa al futuro?
«Non faccio calcoli, altrimenti non sarei qui. Non ho prospettive a lungo termine. Vivo il presente. Ogni volta che ho fatto un progetto mi è andata male».
Sui social network ha scritto: «Con Berlusconi in ricchezza e povertà, finché morte non ci separi». Pensa a un matrimonio?
«La prassi vuole che sia sempre io a fare la prima mossa. L’ho cercato, l’ho corteggiato, l’ho fatto innamorare e l’ho fatto fidanzare. Praticamente ho fatto e faccio tutto io: lui deve solo dire di sì».