Marco Bolasco, la Repubblica 26/9/2013, 26 settembre 2013
VIVERE ALL’ITALIANA
Dietro al successo di ogni uomo, si dice, c’è una grande donna. In questo caso, specifichiamo noi, è la madre. “Vuoi che muoro..?!”, l’esclamazione che ha reso famoso Joe Bastianich, severissimo giudice di Masterchef, fa subito pensare alla tv, fra concorrenti in difficoltà e relative imitazioni di Maurizio Crozza. Ma chi crede che la storia si fermi allo show si sbaglia di grosso. Bastianich è infatti il nome di una famiglia che dall’Istria e dal Friuli ha costruito un bel pezzo di storia della cucina italiana in America, dal boom economico ai giorni nostri. Una storia decisamente matriarcale, dove il capofamiglia è la mamma di Joe, Lidia, negli Stati Uniti ancora più famosa di lui.
Lidia Bastianich è una donna decisa, estroversa, tenace. Nei tratti e nel modo di parlare possiede qualcosa di teutonico. Nata e cresciuta fino ai dieci anni d’età nei dintorni di Pola, non ha nulla dell’immagine troppe volte stereotipata della cuoca un po’ materna e mediterranea della cinematografia nostrana. Ma è lei che, attraverso la televisione, ha diffuso la cultura gastronomica del Belpaese a tanti americani. È lei che ha messo insieme Nord e Sud, tradizione e consapevo-lezza, per cercare di far capire cos’erano l’Italia e quel lifestyle che in tanti ci invidiano. Dopo Pola e Trieste, molto presto il trasferimento negli USA, ancora bambina, senza sapere che non ci sarebbe stato il ritorno. «Credo che questo aspetto abbia condizionato il mio futuro: il cibo è stato il mio cordone ombelicale con l’Italia, che non solo non si è mai rotto, ma mi ha continuamente alimentato». Il setting - Lidia usa proprio questa parola nel suo italiano scandito da qualche inglesismo - è stato quello della nonna. In un cortile con i suoi animali, dove si producevano olio e vino. Un forte, iniziale, contatto con la terra, fatto di ricordi indelebili, che scandiscono la vita: «Quando mia nonna andava a raccogliere le patate io la seguivo e parlavo con lei. Le patate appena colte erano calde nelle mie mani ed erano vita. Così come l’olio sul pane tiepido che mi preparava o ancora il gusto del fico carico di sole, a settembre, quando il frutto sta quasi per scoppiare. Questa è stata la mia “libreria di referenza”, il bagaglio che mi sono portata in America». Cose normali, qui da noi, ma non altrettanto laggiù. La grande capacità di Lidia è però proprio quella di conoscere e comprendere entrambe le culture, per poterle mescolare, in una nuova cucina. Quella degli italiani in America è l’arte dell’adattamento: «Quello che cucinavamo noi a casa ovviamente non rifletteva l’Italia ma era un misto. Ho fatto ricerca su questo e voglio mettere in chiaro che la cucina italoamericana era una cucina di adattamento. Non c’erano gli ingredienti italiani e quelli che c’erano erano diversi. Pomodori acidi dai semi amarognoli, altro che San Marzano! Ma noi li cuocevamo a lungo, aggiungendo un po’ di zucchero. Gli spaghetti and meat balls sono la versione americana del sugo della domenica delle campagne del Meridione d’Italia. La nostra sunday sauce è un po’ come il ragù napoletano della festa ».
Nel racconto di Lidia si vedono chiare due vicende parallele fatte di creatività, romanticismo, sensibilità, conoscenza, identità italiani. Ma anche organizzazione, abilità negli affari, contabilità, marketing, tutti statunitensi. Non è un caso che la divulgazione attraverso libri e tv parta anche dalla costruzione di una rete di ristoranti capaci di far vivere il sogno italiano a tavola: Del Posto, Felidia, e infine la partnership con Oscar Farinetti in Eataly New York, oggi uno dei siti più visitati della città, insieme al MOMA.
«Io ho acquistato credibilità in America con tutto quello che ho fatto, perché non ho mai smesso di conoscere, di scoprire quello che di grande c’era in Italia. La bellezza e il patrimonio della cucina italiana è la regionalità. Gli italiani stanno capendo sempre di più che questo è qualcosa che gli è stato dato. Dobbiamo metterci in concorrenza, fare le cose fatte bene e aggiungerci un tocco di buon marketing. Anche le industrie stanno riscoprendo i piccoli valori, l’artigianato, la genuinità. Dobbiamo capire e far capire qualità e gusto della vita. E far vivere all’italiana».