Federico Rampini, la Repubblica 26/9/2013, 26 settembre 2013
L’IRAN APRE AL DIALOGO CON GLI USA “SUBITO UN ACCORDO SUL NUCLEARE” MA A TEHERAN I FALCHI FRENANO
Il volto nuovo del-l’Iran sembra deciso a fare sul serio. Il neo-presidente Hassan Rohani parla di «crimine riprovevole », a proposito dell’Olocausto. È una svolta rispetto al suo predecessore Mahmud Ahmadinejad che più volte sposò la tesi negazionista, anche parlando qui al Palazzo di Vetro. Rohani non ne parla durante il suo intervento all’assemblea generale delle Nazioni Unite, ma in un’intervista alla Cnn subito dopo. Che la svolta non sia indolore, lo dimostrano le reazioni furibonde che arrivano proprio dall’Iran. L’agenzia stampa legata alle fazioni più radicali, Fars, crea un giallo accusando la Cnn di avere falsificato quell’intervista. Ci va di mezzo, per qualche minuto, una delle più celebri anchorwomen americane, Christiane Amanpour. Poi però vanno in onda altre interviste di Rohani, di cui una alla Fox News, e la frase viene ripetuta in modo inequivocabile: «I nazisti hanno commesso un massacro che non può essere negato, soprattutto contro il popolo ebraico». È evidente che la rottura con il negazionismo di Ahmadinejad fa parte di quella “offensiva dello charme” che Rohani ha lanciato qui a New York fin dal suo arrivo (accompagnato, nella delegazione, dall’unico deputato ebreo del Parlamento iraniano). È la novità che domina quest’assemblea generale Onu, dopo la storica apertura di Barack Obama che ha incaricato il suo segretario di Stato John Kerry di preparare un dialogo bilaterale diretto con l’Iran: la prima volta dal 1979. La posta in gioco è il nucleare, ovviamente, ma anche la Siria dove l’Iran ha sempre svolto un ruolo fondamentale nell’appoggiare il regime di Assad. Il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Zarif, che oggi incontra Enrico Letta, conferma l’atmosfera di disgelo: «Vogliamo un accordo sul nucleare a breve termine». Il primo test avviene nella ripresa dei negoziati nel gruppo dei 5+1 (che include tutti i membri permanenti del Consiglio di sicurezza, più la Germania).
È evidente che contro il disgelo ci sono resistenze da più parti. Per cominciare, in Iran e in Israele. Un giornale radicale di Teheran, Kayhan, dà la sua versione sul perché non ci sia già stato all’Onu il primo faccia a faccia tra Obama e Rohani: «Sarebbe il frutto proibito, la mano pulita del nostro presidente per qualche istante stringerebbe quella insanguinata del leader americano ». Si capisce che il clima a Teheran va preparato. La spiegazione ufficiale del perché Rohani non è andato al pranzo ufficiale offerto dal segretario generale Onu, Ban Ki-moon — «per non partecipare a un banchetto dove si servivano bevande alcoliche» — è chiaramente un escamotage diplomatico. Secondo la Casa Bianca, Obama era pronto a vedere subito Rohani ma la delegazione iraniana si sentiva “impreparata” allo storico evento.
Polemiche forti anche in Israele. Il premier Benjamin Netanyahu definisce «cinico» l’intervento di Rohani all’assemblea generale, in cui il leader iraniano martedì sera aveva offerto negoziati sul nucleare. Netanyahu esorta il mondo a «non farsi ingannare ». È un messaggio rivolto anzitutto agli americani. Una partita cruciale si apre proprio per conquistare le simpatie dell’opinione pubblica e della classe politica americane. Netanyahu lunedì avrà un incontro bilaterale con Obama alla Casa Bianca. Ammonisce gli americani a non fidarsi, anche se oggi «l’Iran sorride», il premier israeliano è convinto che le offerte sul nucleare siano menzogne. La stessa svolta sull’Olocausto viene accolta con freddezza in Israele. «Rohani non nega più l’Olocausto come fece il suo predecessore; però non condanna i negazionisti », osserva il ministro israeliano per le relazioni internazionali Zeev Elkin. Qualche dissenso emerge all’interno del governo Netanyahu dove il ministro delle Finanze Yair Lapid dichiara: «Non dobbiamo metterci dalla parte di chi rifiuta le novità».
Rohani a sua volta usa l’intervista alla Cnn per convincere gli americani. Durante il colloquio con Christiane Amanpour si rivolge al pubblico, guardando la telecamera, e lancia: «Vi porto pace e amicizia da parte del popolo iraniano». In un messaggio più specifico per Obama e Kerry, precisa di avere il mandato del leader supremo iraniano, l’ayatollah Ali Khamenei, per i negoziati sul nucleare. È un aspetto cruciale perché il depositario del massimo potere politico è Khamenei. La Casa Bianca ribadisce la linea illustrata all’Onu da Obama: «Siamo incoraggiati dal linguaggio nuovo del presidente iraniano, che suona come un moderato, ma dopo le parole aspettiamo i fatti ed è su quelli che giudicheremo». Se davvero la svolta di Teheran venisse confermata, si tradurrà in aperture concrete sulle ispezioni ai siti nucleari, onde poter verificare che l’Iran si limiti all’atomo per usi civili. Se questo dovesse avvenire, per l’Amministrazione Obama sarebbe la prova che la strategia delle sanzioni ha funzionato. La contropartita che Rohani desidera, oltre al riconoscimento di un nuovo status internazionale e al «mutuo rispetto», è ovviamente la cancellazione delle sanzioni che hanno provocato pesanti sacrifici all’economia e nella vita quotidiana degli iraniani. L’altra partita che si aprirebbe: la possibilità di un atteggiamento conciliante da parte dell’Iran sul futuro della Siria.