Edoardo Narduzzi, ItaliaOggi 26/9/2013, 26 settembre 2013
LA LENTEZZA DELLA P.A. STA METTENDO L’ITALIA FUORI DAL MERCATO GLOBALE
Il capitalismo italiano continua a restare pericolosamente statocentrico. Oltre il 50% del pil decrescente del Belpaese è ancora intermediato dallo Stato, una quota eccessiva, anche perché il protagonista di tale intermediazione è una macchina pubblica con una produttività, ora certificata anche dalle statistiche della Ue non solo dall’Ocse, inferiore alla Grecia e alla Spagna. Una p.a. eccessivamente costosa alla quale continuano a essere affidati ruoli e compiti che essa non è in grado di gestire con i processi decisionali e organizzativi imposti dalla modernità al business e alla società tutta.
L’esempio di Ostia Antica, un’area archeologica 2,5 volte più ampia di quella di Pompei e appena candidata dalla Comunità ebraica di Roma a diventare patrimonio dell’Unesco, è un idealtipo di come un patrimonio unico al mondo possa essere «sprecato» per eccesso di offerta da uno Stato incapace di gestire secondo il paradigma della velocità decisionale dell’oggi.
Una velocità mai registrata prima nella storia del capitalismo. BlackBerry, multinazionale canadese dei cellulari, nel 2009 vantava circa il 50% del mercato Usa della telefonia mobile. Alla fine dello scorso agosto la sua quota di mercato era scesa al 2,1%; significa che in meno di quattro anni il più grande mercato di consumo al mondo ha rottamato i prodotti di un colosso mondiale della tecnologia. Nello stesso arco temporale una pratica della p.a. italiana spesso neppure vede la luce. Se di mezzo ci sono, poi, le sovrintendenze e i beni culturali tutto si fa asintotico all’infinito. Così non deve sorprendere se i turisti globali si allontanano dall’Italia.
Ostia Antica è, suo malgrado, l’idealtipo di questo spreco di opportunità. In un anno è visitata da 300 mila persone (tra i quali molte scuole dell’hinterland laziale). Patrimonialmente vale qualche miliardo e dovrebbe rendere almeno il 5% lordo ai contribuenti italiani che ne sono proprietari, ma non è dato sapere se con gli incassi di un esercizio la gestione è a break even coprendo le spese correnti. In un mondo di turisti cinesi e russi a cinque stelle - distanti anni luce dal Goethe del Viaggio in Italia - che vogliono consumare esperienze culturali uniche da postare su Instgram e conservare per sempre sui loro tablet, l’Italia continua a offrire un’archeologia con strutture da quinto mondo. È finita la stagione del «solo lo Stato è bello». Privatizzare la gestione dei beni italici è una strada obbligata, perché, in un mondo dai cicli iperaccelerati che non fa più sconti a nessuno, per valorizzare Ostia o Pompei servono capitali che la Repubblica dallo spread insostenibile non ha e non avrà nei prossimi anni.