Paolo Bricco, Il Sole 24 Ore 26/9/2013, 26 settembre 2013
RIVA ACCIAIO, PERSO IL 10% DEL MERCATO
MILANO
Di che cosa parliamo, quando parliamo di Riva Acciaio? Il congelamento patrimoniale provocato dal sequestro ha prodotto la paralisi di un sistema industriale imperniato su una impresa che ha fatturato, nel 2012, 1,1 miliardi di euro.
In Italia è in corso l’ennesimo - durissimo - conflitto fra il potere giudiziario e il potere politico. I magistrati di Taranto hanno trasformato il custode Mario Tagarelli in amministratore dei sette stabilimenti. Il presidente del Consiglio, Enrico Letta, si è impegnato a ricomporre i dissidi interni alla maggioranza sul provvedimento predisposto dalle tecnostrutture del Mise. La misura dovrebbe contenere la distinzione fra il custode (nel caso specifico, Tagarelli) e l’amministratore (il manager indicato negli organi societari). L’esito di questo scontro avrà effetti di lungo periodo sugli equilibri della manifattura italiana.
L’economista Gianfranco Tosini, responsabile dell’ufficio studi di Siderweb, ha realizzato per il Sole-24 Ore una analisi quantitativa del tipo di produzioni che Riva Acciaio ha in pancia. Quindi, ha pesato le diverse specializzazioni produttive sul mercato interno, mostrando così lo spazio che questa impresa - sequestrata dai magistrati di Taranto, alla ricerca di patrimoni e asset in grado di ripagare i danni fatti dai Riva nella gestione dell’Ilva - ha nella manifattura italiana. Spazio che, oggi, è vuoto. L’88,3% della sua attività è costituito da prodotti lunghi laminati a caldo. In tutto, fanno 1.375.000 tonnellate. Il resto sono prodotti laminati a freddo, che contano per altre 219.000 tonnellate.
Lo stop ha ricadute assimilabili sui due comparti produttivi, anche se quello dei laminati a caldo è quello maggioritario. Alla fine, il peso relativo è più o meno il medesimo. Il problema di fondo è infatti che, in entrambi i segmenti, le quote attribuibili a Riva Acciaio risultano significative: l’11,6% di tutti i prodotti lunghi a caldo (appunto, 1.375.000 tonnellate all’anno) vengono realizzati con gli impianti elettrosiderurgici della famiglia lombarda; lo stesso si può dire dell’11% di quelli laminati a freddo, la cui produzione è - come detto - pari a 219.00 tonnellate all’anno. Dunque, da un giorno all’altro, l’ordito siderurgico italiano si è ritrovato con un tessuto lacerato e un buco pari a oltre un decimo di tutta la sua estensione.
La questione è che l’economia reale funziona esattamente come la fisica: il vuoto si riempie istantaneamente. E, dunque, senza alcuna strategia esplicita, ma soltanto andando a coprire gli ordini annullati in queste settimane, i concorrenti stranieri - in particolare i francesi e i tedeschi - stanno entrando, come il coltello nel burro, in un buon dieci per cento del nostro mercato costituito (se si esclude il tondo per cemento armato) da prodotti ad alto valore aggiunto.
Vediamo i gangli più deboli di questo sistema in corso di destrutturazione. La maggior parte della produzione di Riva Acciaio nei prodotti lunghi a caldo è concentrata sui laminati mercantili (il 29,1% della sua attività) e sulle vergelle (il 32,2%). I laminati mercantili prodotti da Riva Acciaio valgono il 13% del mercato italiano. Le vergelle il 13,6 per cento. I laminati mercantili vengono utilizzati nelle produzioni di macchine, apparecchi meccanici e prodotti in metallo, nelle carpenterie, nell’automotive, nei cantieri navali, nella fabbricazione di trattori e macchine movimento terra. Le vergelle sono adoperate nelle costruzioni, ma soprattutto dalle trafilerie per la produzione di componenti per l’industria meccanica e l’automotive. Dunque, si tratta di elementi essenziali per un manifatturiero fondato sulla meccanica e meccatronica e su una componentistica di buon contenuto tecnologico con cui alimentare le catene della fornitura del manifatturiero internazionale. Mica poco: siamo nel cuore di che cosa fa il nostro Paese, fra mille problemi e complessità, all’interno delle specializzazioni produttive del capitalismo globale.
Fra i prodotti a freddo, quelli più strategicamente rilevanti sono i trafilati e i fili trafilati. I trafilati (pari al 2,9% della produzione dell’azienda, 46 tonnellate all’anno) hanno una quota del mercato italiano pari al 6,4 per cento. Anch’essi finiscono nelle macchine e negli apparecchi meccanici, nei prodotti in metallo, nelle carpenterie, nell’automotive, nei trattori e nelle macchine movimento terra, nei cantieri navali. I fili trafilati (il 4,8% della produzione di Riva Acciaio, 75.000 tonnellate) hanno una quota del mercato italiano pari al 7,5 per cento.
Dunque, appare questa - lontano dal Tribunale di Taranto e dal Palazzo di Roma - la morfologia del capitalismo produttivo italiano. Una morfologia che, in queste settimane, ha sperimentato un congelamento dei flussi produttivi, danno collaterale di una asfissia finanziaria che ha avuto come epicentro la Riva Acciaio.