Luca Mercalli, La Stampa 26/9/2013, 26 settembre 2013
C’È LA PROVA DEFINITIVA: È L’UOMO CHE CAMBIA IL CLIMA
Venerdì uscirà l’atteso sommario per i decisori politici del Quinto rapporto sul clima dell’Intergovernmental Panel on Climate Change, organo delle Nazioni Unite fondato nel 1988. I diplomatici dei 195 Stati membri – cioè praticamente tutto il mondo – insieme al meglio della ricerca climatologica di tutti i tempi, sono riuniti a Stoccolma da lunedì, ospiti di uno dei governi che più ha preso sul serio la lotta ai cambiamenti climatici.
Il testo, elaborato da 831 scienziati e sottoposto a due processi di verifica durante cinque anni di lavoro, è tutt’ora in corso di meticolosa revisione parola per parola, e solo in occasione della conferenza stampa ne conosceremo i contenuti definitivi. Eppure è da giorni che circolano dati ufficiosi sulle sue conclusioni, con i tagli più diversi, dal negazionismo alle accuse di parzialità, dal catastrofismo all’indifferenza.
Ma poco importa commentare qui i decimali dopo la virgola delle variazioni climatiche attese, se cioè la temperatura del Pianeta aumenterà da oggi al 2100 di 2 o 4 gradi, se il livello marino si alzerà di 24 o 62 centimetri, se la scienza è certa al 90% o al 95%.
Questi dettagli li sapremo tra un paio di giorni, e comunque chi opera nel campo della ricerca più o meno li conosce già perché vengono pubblicati di continuo sulle riviste scientifiche e pure sulla penultima pagina di questo giornale. Dal nuovo rapporto non ci si aspetta dunque nessuna rivoluzione.
E proprio qui sta la notizia: in cinque anni di febbrile ricerca scientifica, di nuove simulazioni con i supercomputer più potenti al mondo, di verifiche metodologiche rigorose, incluso il vaglio delle obiezioni «scettiche», la risposta è che il clima si sta proprio riscaldando per effetto delle attività umane, e che la situazione peggiorerà nei prossimi decenni in ragione delle scelte politiche ed economiche che si faranno o non si faranno ora.
«L’evidenza scientifica del cambiamento climatico antropogenico si è andata consolidando anno dopo anno, lasciando sempre meno incertezze quanto alle gravi conseguenze della mancata azione», ha dichiarato alla plenaria dell’Ipcc Qin Dahe, accademico delle scienze cinese.
Il riassunto per decisori politici delle basi fisiche del riscaldamento globale avrà dunque un valore formale più che sostanziale. Sarà la dichiarazione meditata, condivisa e approvatada tutti i governi, che sancirà il verdetto autorevole emerso dalla massima autorità scientifica che l’umanità sia in grado di esprimere sulla malattia climatica. Anamnesi, sintomi, diagnosi e prognosi sono ormai ampiamente documentate da oltre 9.200 pubblicazioni. La scienza ha fatto tutto ciò che doveva e continuerà a farlo, affinando, precisando, migliorando la qualità degli scenari e il monitoraggio dei dati ambientali.
Ma ora la volontà di attuare la cura è culturale: attiene alla psicologia sociale, alla sociologia, all’informazione, che devono formare una consapevolezza collettiva su una delle maggiori sfide che la nostra specie si trovi a fronteggiare, e poi alla politica, che deve agire rapidamente ed efficacemente sulla riduzione delle emissioni climalteranti e sull’uscita dal paradigma economico predatorio delle risorse naturali.
Lena Ek, ministro dell’ambiente svedese, all’apertura dei lavori dopo aver mostrato immagini del ritiro dei ghiacciai scandinavi e del rischio di inondazione della storica città di Örebro, ha dichiarato che «la grande sfida è veicolare il messaggio di urgenza al pubblico. Se la gente è convinta, i politici seguiranno». Parola di ministro di un Paese che dal 1990, con una crescita del Pil del 60 per cento, ha ridotto le emissioni del 20 per cento, e prevede di azzerarle entro il 2050.