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 2013  settembre 26 Giovedì calendario

VENTUNO ORE DI DISCORSO PER BLOCCARE IL BILANCIO USA

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI NEW YORK — Arrivati a quattro giorni dall’inizio del nuovo esercizio fiscale senza un bilancio approvato né un accordo in vista che consenta allo Stato di continuare a finanziare le sue attività, ieri a Washington circolavano con insistenza due domande: quali saranno le conseguenze di un eventuale «shutdown» del governo? E come ha fatto Ted Cruz, senatore ultraconservatore del Texas, a non fare pipì per 21 ore?
Il secondo quesito può apparire eccentrico rispetto alla drammatica prospettiva di una paralisi amministrativa che, secondo Barack Obama, può sospingere l’America verso una nuova recessione: il ministro del Tesoro ha avvertito che il governo rimarrebbe senza fondi a partire dal 17 ottobre, con il rischio di un default senza precedenti che destabilizzerebbe i mercati globali. Sempre che nel frattempo non venga alzato il tetto del debito pubblico.
Bisogna anche sapere che Cruz, uno degli alfieri della destra radicale dei Tea Party, ha tenuto il Senato in ostaggio per quasi un’intera giornata e una nottata, proprio per bloccare, con una forma anomala di «filibustering» (ostruzionismo), la discussione del bilancio.
Una maratona oratoria durata, appunto, 21 ore senza interruzioni (niente cibo, un po’ d’acqua, qualcuno sospetta l’uso di un catetere per la minzione) con l’obiettivo dichiarato di impedire che venga messa ai voti la proposta di legge che, autorizzando le spese del governo, destina fondi anche alla riforma sanitaria di Obama le cui parti essenziali entrano pienamente in vigore il prossimo primo ottobre. La Camera nei giorni scorsi aveva approvato una versione del bilancio che cancella il finanziamento di Obamacare: una riforma contro la quale i repubblicani stanno conducendo una vera crociata.
Una legge siffatta non passerà mai al Senato (che è a maggioranza democratica) ma può paralizzare il Congresso con gravi conseguenze per l’economia. Finito lo show di Cruz, ieri il Senato ha iniziato con un voto procedurale la discussione della sua versione del bilancio. Obama non molla («non mi faccio ricattare») anche perché è convinto che, se il «muro contro muro» farà danni, stavolta la gente darà la colpa ai repubblicani. È quello che temono anche molti conservatori dell’establishment. Karl Rove, lo stratega elettorale di Bush, ha ad esempio scritto sul Wall Street Journal che un blocco dell’attività di governo può avere effetti devastanti per i repubblicani: i sondaggi dicono che, mentre la maggior parte degli americani (e il grosso degli indipendenti) è contraria a Obamacare, non c’è nessuno che vuole sentir parlare di «shutdown»: se avvenisse, verrebbe incolpata la destra.
Nonostante questa consapevolezza i leader della destra moderata di Camera e Senato, John Boehner e Mitch McConnell, hanno ceduto alla pressione dei radicali legando bilancio e fondi per Obamacare. Dopo la minaccia di veto della Casa Bianca si sarebbe dovuta aprire una fase negoziale per evitare lo stallo, ma i «pontieri» sono molto timorosi: ogni tentativo di compromesso viene attaccato dai radicali e colpito da organismi politici-ombra finanziati da alcuni miliardari di estrema destra con campagne di spot tv che mettono nel mirino i parlamentari aperti al dialogo e invitano gli elettori a non votarli più.
Su questa radicalizzazione è piombato il fenomeno Cruz: deciso a strappare a Rand Paul la palma di senatore più estremista, si è impegnato in una maratona oratoria che ha stracciato il record (13 ore) fatto registrare qualche mese fa proprio da Paul. Senza alcuna possibilità di bloccare davvero la riforma sanitaria e il rischio, invece, di lasciare senza benzina la macchina del governo federale a partire da martedì prossimo. Le tv hanno trasmesso giorno e notte le immagini di Cruz che per far passare il tempo ha letto di tutto, anche le filastrocche per bambini del Dr. Seuss. Uno spettacolo di confusione e impotenza del Congresso che potrebbe costare caro ai repubblicani. E che farà di Cruz un «emergente» nella corsa alla nomination per le presidenziali del 2016.