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 2013  settembre 26 Giovedì calendario

«NON DORMO DA 55 GIORNI, PERSI 11 CHILI»

ROMA — Da giorni era angosciato, da giorni sentiva un cappio stringersi attorno al collo: «Mi arresteranno, è l’unica cosa che vogliono. Finirò a Poggioreale. E nessuno sta muovendo un dito per me». Da giorni Silvio Berlusconi ce l’aveva con tutti: con Napolitano, che dopo tante assicurazioni, non gli ha dato «niente di niente, anzi», con il premier Letta che non si è speso per lui, con il Pd che «spera mi mettano in galera per avere finalmente campo libero». E in parte anche con chi, nel suo partito, non aveva fatto abbastanza per difenderlo.
Un malumore assoluto, un senso di accerchiamento senza uscita, o meglio con una sola possibile via di fuga: far saltare tavolo e governo, tornare al voto, o la va o la spacca, tutto o niente, baratro o salvezza. È la via che fin dal primo momento gli hanno indicato i falchi, quella che — al di là delle rassicurazioni ufficiose che filtravano da Arcore — Berlusconi in cuor suo ha sempre condiviso, dopo la condanna in Cassazione. Il lancio di Forza Italia, il videomessaggio, le caotiche 24 ore tra martedì sera e ieri notte nelle quali l’ex premier ha deciso prima di andare in tivù e poi di annullare la partecipazione, di tenere una convention sabato per subito sconvocarla, di dar retta alle colombe che gli consigliavano di mordersi la lingua e di riunire oggi i gruppi parlamentari, danno il senso dell’accelerazione improvvisa ma quasi inevitabile verso la rottura.
«Quando parliamo, negli ultimi tempi, è solo per organizzare la campagna elettorale», diceva nei giorni scorsi Daniela Santanchè, che sulla evoluzione inattesa in questi termini e improvvisa ha sicuramente avuto un ruolo, come il resto dell’ala dura del partito, anche se la proposta formale — nel vertice di ieri — l’ha fatta Brunetta: «Presidente, se votano la decadenza ci dimettiamo tutti», ed è stata approvata come un sol uomo dallo stato maggiore del partito lì presente. Non c’erano i ministri però, e nemmeno Alfano, in missione a Torino. E non c’erano tanti big che per tutto il pomeriggio si sono chiesti cosa stesse succedendo, se davvero era maturata «così, a caso, di colpo» la scelta di dimissioni di massa, che fino a ieri mattina nessuno metteva minimamente in preventivo perché «se si rompe — era la vulgata comune — sarà sul terreno dell’economia».
Ma nel vertice il clima è stato talmente teso, talmente da ultima spiaggia che la svolta sembra ormai impressa. Perché Berlusconi ha detto con tono accorato, quasi disperato, le stesse parole poi ripetute alla riunione dei gruppi, commuovendosi davanti alle ovazioni: «Non mollo, è mio dovere resistere e combattere» anche se «non dormo da 55 giorni, non posso passare per uno che ruba agli italiani, per me è insopportabile. C’è in atto un’operazione eversiva da parte di Magistratura Democratica che mina lo stato di diritto» e la sinistra «che ha un’ideologia criminale, e spera di avere campo libero ora per eliminarmi» si illude e «se ne accorgerà».
Parole che nello stato maggiore del Pdl hanno ascoltato già tante volte, ma che — rese pressoché pubbliche nella riunione dei gruppi, con conseguente decisione anche se solo annunciata e rimandata a dopo il voto definitivo dell’Aula — trascinano quasi giù il governo. E non sembra esista più alcun margine, se come raccontano è stato Berlusconi, durante il vertice, a decidere che «adesso basta, non possiamo più sopportare, ma lo capite che questi vogliono solo mettermi dentro e buttare la chiave? Basta!».
Eppure, cosa succederà da oggi in poi è ancora imprevedibile. E non a caso, uscendo alla spicciolata dalla riunione dei gruppi, parlamentari del Pdl avvertivano che «le dimissioni sono state in qualche modo affidate a Berlusconi, ma mai formalizzate», e che comunque «ancora bisogna capire che sviluppi ci saranno» perché «non c’è stato alcun dibattito, siamo stati tutti presi di sorpresa...». Non è l’annuncio di rotture interne, ma certo è la testimonianza del clima di sconcerto che regna nel partito, esposto a stop and go sempre più incomprensibili. E nessuno sa ancora bene neanche cosa voglia davvero Berlusconi: l’ultima, disperata, impossibile trattativa o lasciando il cerino acceso Pd? Nella riunione dei gruppi infatti ha fatto un discorso tutto d’attacco ma senza mai evocare la caduta del governo, ha parlato di Forza Italia e della possibilità che «arrivi al 36%» ma non ha detto che la campagna elettorale è iniziata.
Poi certo, tutte le mosse fanno pensare a un esito inevitabile, anche le ultime decisioni sul suo destino di condannato: ha spostato ufficialmente la sua residenza a Roma, a Palazzo Grazioli, e sembra sia intenzionato a chiedere l’affidamento ai servizi sociali presso la comunità di don Picchi, quella dove anche Previti aveva scontato la sua pena. Un modo per rimanere accanto a quei palazzi della politica da dove stanno per espellerlo. E dove può ancora contare se «non diventa troppo tardi: tra qualche mese — gli hanno detto i falchi ieri — tu sarai fuori dalla scena e sarà troppo tardi per salvarci». Che poi serva a qualcosa andare al voto, e su questo terreno, in tanti dubitano. Ma per un Cavaliere che vede in atto l’offensiva sul processo Ruby bis, su quello di Napoli con le rogatorie dall’estero, la salvezza passa solo attraverso il suo popolo. Quello che non gli ha mai voltato le spalle, a differenza di «tutti quelli che mi hanno accoltellato e che continuano a farlo».