Veronica Tomassini, Il Fatto Quotidiano 25/9/2013, 25 settembre 2013
LA SOLITUDINE DEL PLAGIATO
C’è una specie di zona grigia dove resistono eroici (qualunque cosa significhi) benché nell’impasse: sono i plagiati dagli eccellenti. Sono obnubilati, l’opinione pubblica saprà poco o nulla di loro, d’altronde la storia è stata scritta e si fa fatica a correggere la lista dei buoni e cattivi, a riscriverne i nomi, per giunta realizzando oramai che il presupposto è una balla: non esistono buoni e cattivi, figuriamoci gli eroi.
Simone Di Meo: questo nome ad esempio vi dice niente? O Anila Hanxhari, conoscete qualcosa di lei? Eppure in qualche maniera il loro sacrificio potrebbe valere (e qui manteniamo il condizionale) un capolavoro, anzi due per la precisione: Gomorra di Roberto Saviano e Stabat Mater di Tiziano Scarpa. Simone Di Meo è un giornalista (una volta di Cronache di Napoli), oggi collabora con Il Tempo e Il Sole 24 Ore, ha chiesto e ottenuto una sorta di indennizzo morale, accusando Roberto Saviano di aver riprodotto alcuni reportage all’interno della docufiction diventata un best seller, senza citare la fonte e nemmeno l’autore, cioè lo stesso Di Meo. La notizia di oggi è che Saviano deve pagare al giornale in questione, Cronache di Napoli, e al Corriere di Caserta, 60 mila euro, riconosciuto colpevole dalla Corte d’Appello di Napoli dell’accusa mossa a suo tempo anche da Di Meo, nello specifico per aver riprodotto in Gomorra tre articoli senza nominare testata e cronisti.
DI MEO NON ARRIVÒ
alle vie legali perché Mondadori cercò un accordo subito, lampanti le analogie nella comparazione dei testi, praticamente identici.
Il giornalista ha pubblicato proprio ieri una lettera sul quotidiano Il Tempo, in cui racconta la fatica del dopo per aver mosso quell’istanza di giustizia, l’isolamento e lo spregio, lui “cronisti-no di provincia”, così archiviato – dice – dallo stesso Saviano. Ma Saviano era già un monumento alla legalità, allora, scardinare i termini della questione era impossibile. In fondo non occorreva scardinare necessariamente l’elevazione di un’icona: nell’economia del tutto, cosa avrebbe cambiato dirlo, dire questo reportage è stato scritto da Di Meo, Simone Di Meo? Nulla se non fosse che Gomorra era già Gomorra e Saviano già Saviano.
È abbastanza frustrante oggi persino interrogarsi sullo stato d’animo dei plagiati dagli eccellenti, il loro destino sfuma dentro il purgatorio degli eletti in contumacia, che non restituirà forse mai veramente il mal tolto, se questo è. Di Meo dice di aver incassato la derisione e lo scetticismo “dei pasdaran della legalità da salotto” (sempre dalla lettera di De Meo ne Il Tempo). La storia è stata scritta, le icone erette, le mostrine distribuite. C’est la vie.
E Anila Hanxhari? Come restituirle nell’eventualità il romanzo che era suo (e non lo fu mai)? La storia è stata già scritta, ha i suoi vincitori. Stabat Mater, premio Strega 2009, di Tiziano Scarpa. Esatto. Torniamo indietro però: il manoscritto di Anila era Maria delle caramelle, Anila era una sconosciuta, esordiente, aspirante esordiente, spedisce a Mondadori e Einaudi tra gli altri, Einaudi le suggerisce di mandare il testo a un preciso indirizzo mail. Anila spedisce. Esce Stabat Mater di Tiziano Scarpa, era il 2008, l’anno successivo il controverso premio (lo fu in quella circostanza) assegnato all’autore veneziano. Anila legge il romanzo, salta sulla sedia, le assonanze sono spaventose, riconosce il suo Maria delle caramelle, scritto con il sangue (nel 2006), con il dolore che apparteneva alla sua vita, Sua Sua, non di Scarpa. Anila Anxhari trascina Scarpa in tribunale. La storia ha già i suoi vincitori e anche le sue ombre stavolta. Un guaio, certo, che si aggiunge per Scarpa all’altra accusa di plagio e che riguarda anche un racconto di Anna Banti degli anni Cinquanta, Lavinia fuggita, l’accusa è quella di aver copiato.
OGGI ANILA Hanxhari per i pochi è una poetessa, ha pubblicato alcune sillogi, ha vinto dei premi, non troppo sontuosi, chi conosce Anila? Non la grande opinione pubblica, se è vero che quel romanzo è il suo, per la Storia Stabat Mater rimarrà di Scarpa, con qualche se, ma i “se” ce li dimentichiamo tutti. I ruoli sono fissi, i posti in prima fila sono tutti occupati; sorry, Anila deve restare dietro. Anila considerata da Maurizio Cucchi uno dei nomi più belli della poesia contemporanea. Mentre Simone Di Meo è stato più audace forse, o veemente, tuttavia ha perso qualcosa e comunque. Ad ogni modo, a Di Meo deve bastare che a pag 141 di Gomorra subentrò la rettifica di Mondadori (dall’undicesima edizione in poi) con il suo nome nel corpo del testo “come autore dello scoop copiato da Roberto. Non andai oltre né chiesi altro” (brano tratto ancora dalla lettera pubblicata sul quotidiano Il Tempo).
E Anila? È suo il romanzo di Scarpa? È qualora lo fosse? Dovrebbe avvertire lettore per lettore? Cambiare la storia, che ha le sue ombre e i suoi “se”? A essi però (alle ombre e ai “se”) non baderebbero nemmeno le note bibliografiche a margine.