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 2013  settembre 25 Mercoledì calendario

L’IRRESISTIBILE ASCESA DI TAR E CONSIGLIO DI STATO


Correva il dicembre 2012 e Matteo Renzi, nel tentativo di gasare la platea Pd, così sparava: “Se vinceremo noi, dovremo scardinare il sistema burocratico del Paese in modo molto serio. Dobbiamo scardinare il potere dei capi di gabinetto, dei consiglieri di Stato... Altrimenti, non saremo credibili nel voler cambiare il sistema economico e industriale”.
Come noto, il Pd non ha vinto le elezioni, e il potere dei grand commis sta dilagando nell’incertezza del quadro politico. L’attuale presidente del Consiglio di Stato, Giorgio Giovannini, fu capo di gabinetto per Craxi e ha costruito tutta la sua carriera viaggiando tra Tar, Consiglio e ministeri ben dotati finanziariamente come Tesoro e Partecipazioni statali. Se il capo dà il buon esempio, la tradizione continua: solo nell’ultima seduta del Cpga, l’organo di autogoverno della giustizia amministrativa, 24 consiglieri Tar e Cds sono diventati funzionari di alto rango istituzionale: dal Quirinale al ministero dello Sport, c’è posto per tutti. E con loro armonicamente collaborano i colleghi consiglieri che restano seduti a Palazzo Spada (stipendio medio 130 mila euro) ma sostengono le attività dell’esecutivo assumendo incarichi ad hoc. Sono responsabili dell’ufficio legislativo, esperti giuridici, selezionatori di personale per le graduatorie interne, consulenti ingaggiati per produrre pareri, documenti, tabelle, griglie, interi decreti legge che poi il Parlamento approva, magari a botte di fiducia.

DEL RESTO, nella gazzarra parlamentare cui quotidianamente si assiste, serve qualcuno che tenga strette le redini del potere. Quel potere che da sempre abita a Palazzo Spada, neanche 100 magistrati scelti tra la creme della pubblica amministrazione devota a se stessa: il 25 per cento dei posti è attribuito con rari e affollatissimi concorsi, un altro 25 è deciso direttamente da Palazzo Chigi mentre la metà secca è fatta dai magistrati Tar con venti o trent’anni di storia. Da lì sono uscite schiere di ministri, presidenti di Authorithy e boss di mega enti pubblici (vedi Vincenzo Fortunato, addetto alle dismissioni del patrimonio pubblico per un valore di 300 miliardi di euro).
Gente di provata fedeltà, anche se le figuracce non mancano. L’arresto a luglio di Franco De Bernardi, giudice del Tar Lazio, è stato uno choc. La Procura di Napoli l’ha beccato al telefono mentre rasserenava il faccendiere Giorgio Cerruti: “Tranquillo, stai in un ventre di vacca”. La vacca era il verdetto sulla Banca Popolare di Spoleto: secondo gli inquirenti, De Bernardi aveva garantito che per annullare il commissariamento dell’istituto sarebbero bastati 50 mila euro, un affare. Scene di corruzione ambientate in un elegante ristorante dei Parioli. Si chiama Il Caminetto ed è lì che, il lunedì sera, puoi vedere seduti allo stesso tavolo avvocati, giudici e clienti: martedì è giorno di consiglio, di provvedimenti che possono salvare o rovinare politici, imprenditori, militari, banchieri, manager pubblici e privati. Così, tra intercettazioni telefoniche e microspie nascoste nel cestino del pane, hanno beccato il giudice De Bernardi. O meglio ribeccato, perché solo pochi mesi prima era stata la Procura di Palermo a stopparlo con accuse pesantissime: avrebbe aiutato una banda dedita al riciclaggio di denaro sporco, commercio illegale dell’oro e detenzione di armi.
Ma le vicende di De Bernardi sono svanite in fretta dalle cronache nazionali. In genere gli scandali che sporcano i giudici amministrativi si lavano senza clamore, magari con un turno in provincia, una sanzione disciplinare inflitta dai colleghi della giustizia amministrativa. Al contrario, i giudici ordinari hanno motivo di temere i colleghi di Tar e Cds: saranno loro a vagliare gli atti su azioni disciplinari, promozioni e spostamenti. Insomma io, giudice penale, oggi indago su De Bernardi e so che domani De Bernardi potrà decidere sulla mia vita professionale.
Evidentemente De Bernardi non è ubiquo, ma il sistema di autogoverno della giustizia amministrativa e il suo potere di controllo su quella ordinaria sono la premessa a una crescita esponenziale della forza espressa dal comparto. Tutto passa dalle maglie dei tribunali amministrativi e del loro organo d’appello, il Consiglio di Stato. Una piramide che dalle Regioni si eleva nel Tar Lazio (detentore di funzioni speciali) per assurgere alla vetta del Cds. Un dragaggio di funzioni e competenze che dai singoli territori arriva alle cariche istituzionali più importanti: governo e parlamento. Dal basso verso l’alto, come insegna il caso Spoleto: se la banca locale presta soldi agli amici e poi fallisce viene commissariata; ma se arriva la delibera giusta del Tar, l’atto amministrativo diventa nullo e la banca tenta il suo cammino in libertà. Idem per l’azienda in panne, che si vede sequestrare beni e macchinari. Peggio ancora per il Comune o la società pubblica che hanno bisogno di sbloccare progetti, fondi, bandi e graduatorie: tutta materia locale che finisce al Tar regionale e viaggia fino al Cds.

O FINISCE con un bell’arbitrato, ovvero un giudizio che gli stessi consiglieri Tar o Cds decideranno dietro lauto compenso, in forma privata. Questo è un business regolarmente denunciato e ostacolato da nuove leggine, spesso inutili perché il Cpga concede esoneri a chi ne faccia richiesta. Esempio: è vietato accumulare (come capita spessissimo) la carica di giudice, docente universitario, consulente ministeriale e arbitrante ad hoc? Chiedo la deroga per aggiungere una di queste funzioni, il Cpga me la concede e nessuno può impugnarla. Risultato: negli ultimi anni il Cpga ha autorizzato circa 300 magistrati amministrativi ad assumere un migliaio di incarichi retribuiti l’anno. E accade che più del 95% degli arbitrati sugli appalti degli enti pubblici sia deciso a vantaggio delle parti private.
Richieste e autorizzazioni recenti non sono visibili: il sito di Palazzo Spada è fermo al 2012 e i verbali della presidenza sono secretati. Per la precisione, in base agli ultimi regolamenti, le bobine delle assemblee devono essere distrutte pochi giorni dopo una trascrizione sintetica dei contenuti: privacy garantita.
Chi mai potrebbe azzardare una manovra di disturbo? Nessuno, giusto qualche kamikaze presto espulso da un sistema che se ne inventa di tutti i colori per coccolare i suoi membri. Tipo la norma che vieta ai giudici di lavorare troppo: in nome di una nobile uniformità del diritto, esiste un limite alle udienze che ogni magistrato può tenere in un anno, salvo lavorare in extra budget incassando circa 8.000 euro l’anno. Più quattro mesi di ferie retribuite: vitaccia.