Vittorio Sabadin, La Stampa 25/9/2013, 25 settembre 2013
LONDRA, LA CITTÀ CHE NASCE DALLE SUE CENERI
Esce finalmente anche in Italia Londra, una biografia di Peter Ackroyd. Non è un altro libro su Londra: è «il» libro su Londra, quello che i ricercatori e gli storici sono obbligati a leggere e a conservare. Non è roba per turisti, che troveranno molte letture più snelle delle quasi 700 pagine stampate da Neri Pozza. Ma è appassionante per chiunque conosca e ami la città, perché ne rivela l’anima più profonda e segreta. Proprio come Londra, il libro di Ackroyd non ha né capo né coda e non segue una cronologia o un filo logico. Questo consente di tenerlo sul comodino e di leggere un capitolo a caso ogni sera. Alcuni ricordano l’Ulisse di Joyce, altri sono meravigliosamente snelli grazie alla capacità di evocare aneddoti, dettagli, citazioni raccolti da una bibliografia che vale la pena di scorrere per la sua grandiosità.
Ackroyd considera Londra un essere vivente che da secoli perpetua se stesso, incurante di chi vorrebbe cambiarlo. Per questo ha dedicato alla città una biografia e non una storia. Ma, avvisa subito, non vuole interpretare il ruolo di Virgilio: non c’è nessun viaggio iniziatico dalle tenebre alla luce da compiere, perché a Londra tenebre e luce si confondono da sempre, e convivono anche oggi senza problemi. Ma è davvero piacevole trovarsi tra i vicoli e i quartieri, nelle chiese e lungo il Tamigi, nei grandi parchi e nei palazzi, accompagnati da una guida che sa veramente tutto di questo labirinto «mezzo di pietra e mezzo di carne», e ne evoca i colori e gli odori perduti.
Londra non è civilizzata e graziosa, come Parigi o Madrid. È tortuosa, inesatta, oppressiva, e nessuno, se avesse potuto, l’avrebbe fatta così. Ha creato il suo destino passando attraverso i disastri: l’incendio del 1666, la peste, i bombardamenti della seconda guerra mondiale. È stata distrutta più volte, demolita, vandalizzata, e sempre ricostruita. Quando il grande architetto Christopher Wren scavò le fondamenta della cattedrale di St Paul, trovò una pietra romana con incisa la parola «resurgam», risorgerò: la migliore sintesi dell’anima indomabile della città.
È interessante seguire Ackroyd nella sua analisi degli Anni Cinquanta, quelli della ricostruzione dopo la Seconda guerra mondiale. Come sempre, i londinesi avrebbero voluto tornare alle abitudini di prima, ma non era più possibile. Dopo le devastazioni dei bombardamenti, che avevano distrutto migliaia di edifici, l’Evening Standard fu molto criticato per avere sostenuto la tesi che Londra aveva bisogno di più dinamite. Ma da un punto di vista freddamente urbanistico aveva ragione. Il dopoguerra fu l’occasione per rimodellare la città togliendole un po’ di grigiore, per eliminare i vicoli stretti e ricollocare parte della popolazione in aree meno abitate, riportando in vita i quartieri morti.
Furono gli anni in cui il nuovo scacciò via il vecchio, come sempre grazie alla libertà e alla spregiudicatezza dei ragazzi: i Teddy Boys di Elephant Castle, che con le loro giacche di velluto e i pantaloni a tubo si ispiravano al re «Teddy» Edward, furono i primi esponenti delle classi povere a lanciare una moda che contagiò quelle ricche. Grazie a loro, la società borghese smise di pensare che esistevano un vestito per il lavoro e uno per la domenica: si poteva essere eleganti sempre. Molti altri cambiamenti furono ispirati dai Beatnik di Soho, o dai Mods di Shepherd’s Bush, in un’epoca d’oro nella quale il 40 per cento della popolazione di Londra aveva meno di 25 anni.
L’aggressività e la baldanza di questi gruppi, nota Ackroyd, erano le stesse nel Medioevo o nell’epoca romana, o persino durante il Blitz, con i ragazzi che sfidavano le bombe e scalavano per gioco le rovine. Londra è sempre stata una città violenta e le rivolte degli ultimi anni sono le stesse che l’hanno caratterizzata in passato, quando l’ira della folla si accendeva per niente e si spegneva altrettanto rapidamente. Nel Settecento e nell’Ottocento si litigava in continuazione, con una autentica passione per i duelli. Se due bambini si picchiavano in strada, nessuno interveniva per fermarli, ma intorno a loro si formava un circolo di persone che li invitava a darci dentro con più energia. Quando furono esumati centinaia di scheletri dal St Bride Lower Churchyard, moltissimi avevano fratture alle costole, ricordo di risse avvenute per strada o nei pub.
Londra non comincia e non finisce, scrive Ackroyd citando Italo Calvino. Ha un solo dio, il denaro, e da sempre è composta da una massa di poveri e da una minoranza di ricchi. Persino il richiamo delle prostitute ai clienti, «Do you want any business?» (vuoi concludere qualche affare?) testimoniava la convinzione che i soldi sono al centro di tutto. La biografia di Londra trascura i re, e a Elisabetta II tocca una sola, irrilevante citazione. Gli eroi della città sono altri: ad esempio Joseph Bazalgette, che nel 1885 la dotò di 1265 miglia di fognature liberandola dal tanfo che l’ammorbava, o Jack Sheppard, che all’inizio del Settecento evase da tutte le prigioni nelle quali veniva ripetutamente rinchiuso, usando solo una lima «che vale - diceva - più di tutte le Bibbie del mondo».
Londra, come organismo vivente, non perdona chi cerca di svelarne i misteri. Nel XVIII secolo, Richard Horwood tentò di farne una mappa meticolosa, che comprendeva i nomi delle strade e i numeri di tutti i portoni. Morì a 45 anni, poco dopo la pubblicazione. Peter Ackroyd ha avuto un infarto (dal quale si è ripreso) il giorno stesso che ha concluso la sua immensa fatica, l’opera che era nato per scrivere.