Paolo Colonnello, La Stampa 25/9/2013, 25 settembre 2013
MILANO, PATTO MAFIA-’NDRANGHETA CON FIGLIA E GENERO DI MANGANO
«Non abbiamo bisogno di presentazioni», diceva Cinzia Mangano viso d’angelo ai debitori delle sue società di facchinaggio, tanto per far capire che aria tirava a Milano se non si pagava il dovuto a una delle più blasonate famiglie mafiose della Penisola. E aveva ragione, perché a pensarci bene la figlia dello stalliere di Arcore, «l’eroe» di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, quel Vittorio Mangano capo mandamento della famiglia palermitana di Porta Nuova, di tutto poteva aver bisogno tranne che di essere presentata. Bastava la parola. E quella dei suoi picciotti e soci di scorribande imprenditoriali nel ricco e operoso Nord sempre più incline a scendere a patti con la criminalità organizzata, magari per recuperare crediti «perché a quelli bisogna fargli vedere i denti, come i vampiri...» Cinzia Mangano, considerata degli inquirenti un boss affermato dell’avamposto di Cosa Nostra a Milano, è stata arrestata ieri insieme ai suoi complici, tutti pezzi da 90 della mafia palermitana, grazie alla tenacia investigativa di un’altra donna, il vicequestore José Maria Falcicchia, autrice ormai di quasi tutte le ultime indagini sulla mafia e la ’ndrangheta in Lombardia. Insieme alla figlia di Mangano è finito in carcere anche il genero del boss mafioso, marito di un’altra figlia, Enrico Di Grusa, già arrestato nel ’97, e l’imprenditore Giuseppe Porto, vera e propria «testa di legno» di Cosa Nostra al Nord, fotografato nel 2000 mentre portava a spalla la bara dello stalliere durante un solenne funerale e richiestissimo da altri imprenditori, a patto si presentasse «con il braccio destro e quello sinistro…». In manette anche altre quattro persone. Tutti accusati di associazione mafiosa, minacce, frode fiscale, ingresso di lavoratori clandestini. Decine le perquisizioni nel milanese nel reticolo di società gestite dai presunti mafiosi e sequestro complessivo 3 milioni di euro.
L’altro aspetto notevole dell’inchiesta, coordinata dal pm Tatangelo, è la pericolosa «saldatura» filmata in diretta dall’indagine tra le cosche palermitane e quelle calabresi per spartirsi il ricco territorio milanese e perfino gli stessi commercialisti (come Domenico Cristodaro, perquisito ieri), rivelando come il lavoro sottotraccia svolto in questi anni da Cosa Nostra, apparentemente scomparsa dal nero delle cronache, abbia maturato i frutti più velenosi che si potessero immaginare: un’infiltrazione totale nel mondo del lavoro «legale» con scalate imprenditoriali e controllo di interi settori nel mercato dei cosiddetti servizi: facchinaggio, autonoleggio, bassa manovalanza. Grazie allo sfruttamento intensivo degli extracomunitari, sottopagati (5-6 euro all’ora), e maltrattati («li sfruttano come bestie» si legge tout court in un’intercettazione) e all’uso più classico dello strumento delle false fatturazioni per frodare il fisco. Imprese concorrenziali sotto ogni punto di vista, in grado di reggersi ormai non soltanto sulla forza dell’intimidazione ma dei «piccioli» puri, scambiati allegramente in banca, dove si chiudono gli occhi e si accettano assegni a parecchi zeri in cambio di contanti puliti. Non a caso l’inchiesta prende avvio da un’altra indagine che aveva sgominato la presenza della ’ndrangheta all’Ortomercato e chiude il cerchio su una serie di cooperative, come la C.G.S. (acronimo di consorzio gestione servizi) New Group, con sede anche a Palermo proprio presso l’abitazione di Mangano. Società in cui i veri proprietari si celano dietro modesti contratti di assunzione, risultano facchini ma girano in Ferrari, dichiarano redditi da sussistenza (15-20 mila euro) ma dispongono di yacht ormeggiati nei porti siciliani per dare rifugio alle latitanze dorate dei picciotti come il killer Giovanni Nicchi, della famiglia dei Pagliarelli.
E poi acquistano immobili, bar e pizzerie per portare assistenza ai boss e ai killer detenuti a Opera, oppure per aiutare qualche politico compiacente, come l’ex assessore regionale Zambetti, arrestato un anno fa per voto di scambio. Un mondo opaco che a quanto pare rappresenta oggi la vera «rete» di assistenza mafiosa che prospera sull’estorsione e l’assenza di «presentazioni» come nel caso di Cinzia Mangano che giunge a minacciare di morte perfino i figli piccoli di due imprenditori di Peschiera Borromeo, costretti a vendere la loro società per rifondere un debito di 800 mila euro. Chiede un cliente a Pino Porto qual è il segreto del «sistema» e la risposta è precisa: «Devi arrivare al punto di andarlo a minacciare, per forza di cose gli devi far vedere i denti come i vampiri...». «Perché l’utilizzo del metodo mafioso - spiega il gip Donadeo - è praticato con estrema modernità, la struttura interviene per realizzare i suoi scopi senza la necessità di ricorrere ad azioni di pura violenza fisica, ma limitandosi all’uso della pressione e dell’implicita minaccia». Basta la parola.