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 2013  settembre 25 Mercoledì calendario

LE CONDIZIONI PER NON FINIRE IN SERIE B


L’ evoluzione parallela delle vicende Telecom e Alitalia, due società di primissimo piano nel panorama italiano dei servizi in rete, mette in luce un aspetto particolare e molto allarmante della debolezza strutturale del paese: entrambe le società paiono destinate a essere tra breve controllate da gruppi stranieri già presenti nel loro capitale, e fin qui non ci sarebbe nulla di male. Non vi è però alcuna garanzia che i nuovi proprietari assegnino alle reti italiane un elevato grado di priorità, il che può tradursi in un rapido degrado delle reti stesse e, nel caso di Alitalia, in una posizione nettamente marginale dell’Italia nei collegamenti aerei globali. Siccome le reti sono un bene collettivo, queste vicende riguardano tutti o non solo gli azionisti di queste due società.

La storia di una Telecom indipendente pare chiudersi malinconicamente: un’altra delle pochissime grandi società multinazionali italiane, già ormai abbondantemente ridotta nelle sue partecipazioni estere, darà probabilmente l’addio in tempi brevi alle consociate brasiliana e argentina, forse il vero motivo dell’interesse della spagnola Telefonica. Per Telecom, vi è la necessità di procedere a un piano di nuovi investimenti sia nella rete fissa sia nella rete mobile e non è chiaro da dove possano arrivare le risorse finanziarie, visto che neppure Telefonica nuota nell’oro. In altre parole, il problema non è quello di una proprietà straniera bensì quello delle priorità dei nuovi proprietari e della loro effettiva forza finanziaria.

Per Alitalia la storia è in parte simile, anche se la ex compagnia di bandiera è già scesa parecchio più in basso di Telecom lungo la china della scarsa rilevanza internazionale, una discesa avvenuta al costo di circa 5 miliardi euro per un «salvataggio» evaporato in pochi anni (questa cifra oggi sarebbe di grande aiuto per far restare l’Italia con un deficit pubblico inferiore al tetto del 3 per cento, evitando così sanzioni europee). Evitiamo, però, di piangere per il latte versato o per i soldi spesi male: il fatto è che Air France-Klm non darà certo molta priorità ai collegamenti internazionali di Alitalia e cercherà di spostare, per quanto possibile, i voli di lungo percorso in partenza da Roma e da Milano, per indurre (in un certo senso obbligare) i passeggeri italiani a fare scalo prima a Parigi con un sensibile allungamento dei tempi (e quasi certamente anche dei costi) dei voli. E vi è altresì il pericolo di un taglio della rete dei collegamenti interni italiani, molti dei quali presentano un risultato economico negativo in questi anni di crisi.

Vi è un motivo preciso per continuare a tenere in piedi una rete anche se alcuni rami sono in perdita: un volo Torino-Roma, tanto per fare un esempio, ha un valore diverso se da Roma posso volare in 100 diverse destinazioni oppure soltanto in 10. L’importanza di un collegamento telefonico dipende dal numero di controparti con le quali posso collegarmi rapidamente e scambiare parole e dati senza guasti. Per questo l’Italia non dovrebbe semplicemente prendere atto delle decisioni delle imprese ma subordinarne in vario modo la validità a determinate condizioni.

La politica industriale italiana dovrebbe imitare nella sostanza quella britannica, inaugurata ai tempi della signora Thatcher e mai successivamente modificata nelle sue linee essenziali: non importa la nazionalità di chi gestisce una rete, ma questo gestore deve assicurare, nei modi appropriati, determinati livelli di frequenza e qualità dei servizi. Allo stato deve essere riservata in ogni caso una golden share ossia un diritto di veto ai passaggi di proprietà nel caso in cui vi sia il pericolo che interessi fondamentali del Paese siano lesi.

Occorrerebbe inoltre domandarsi perché mai gli italiani non investono nelle proprie reti di comunicazioni e di trasporti e c’è bisogno di capitale dalla Francia e persino dalla Spagna, un Paese che in questa crisi sta male almeno quanto noi. La risposta a questo interrogativo deve chiamare in causa sia gli imprenditori sia il mondo finanziario italiano: perché non osano investire come osano fare i loro «colleghi» di altri Paesi? Che cos’è che li frena? Di che cosa hanno paura? Gli imprenditori hanno ragione a chiedere minori imposte ma dovrebbero offrire in cambio maggiore imprenditorialità, maggiore capacità di affrontare i rischi impliciti nel moderno modo di produzione.

Più in generale, l’Italia scopre con queste due vicende che la debolezza della rete telefonica e quella della rete del trasporto aereo costituiscono due aspetti preoccupanti del suo indebolimento economico. L’Italia sembra sempre meno in grado di gestire reti di ogni genere: quella stradale e autostradale contribuisce a rendere particolarmente caro il costo della distanza, uno dei motivi che rendono scettici i possibili investitori stranieri, la rete elettrica – un tempo motivo d’orgoglio per il paese – offre energia a un prezzo nettamente più elevato della media europea mentre in molte parti del Paese le reti locali della nettezza urbana sono al collasso per la scarsità di discariche e i veti a costruire termovalorizzatori. Far finta di nulla, limitarsi a poche reazioni di circostanza, come sembra fare il mondo politico, sarebbe una ricetta sicura per uscire rapidamente dal gruppo dei paesi avanzati.
mario.deaglio@gmail.com