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 2013  settembre 25 Mercoledì calendario

TRA FEDE E RAGIONE


[Cardinale Gianfranco Ravasi]

Cardinale Gianfranco Ravasi, Papa Francesco e Papa Benedetto scrivono ai giornali e concedono interviste. E oggi lei trasforma il Cortile dei Gentili, la sua iniziativa di dialogo fra credenti e atei, nel Cortile dei giornalisti. Sta cambiando qualcosa nel rapporto tra informazione e Chiesa?
«Vorrei rendere questi nostri incontri sempre più profondi e vivaci. Il primo in assoluto fu quello dei diplomatici, un po’ inamidato. Ora questo dei giornalisti, a maggior ragione dopo le lettere inviate da Francesco e da Benedetto XVI e pubblicate su Repubblica, dovrebbe essere un modello più dinamico. Un confronto a muso duro se è il caso, in cui si obietta, si danno delle visioni. Oppure dei consigli, non necessariamente polemici, ma che siano incisivi».
Nella lettera a Piergiorgio Odifreddi, Joseph Ratzinger scrive appunto che «del dialogo fa parte la franchezza». Condivide?
«Di più. Direi che certe volte all’interno del dialogo è necessaria la precisazione rigorosa. Quella di Benedetto è anche una lezione, non soltanto per noi che operiamo nel mondo della cultura, ma anche per la pastorale in senso lato. Il pastore non deve aver paura di entrare nella piazza, nel groviglio della comunicazione attuale ».
Che cosa intende dire?
«Che il dialogo non deve costituire di per sé una sorta di Onu, di assemblea generale per cui alla fine si cerca di trovare comunque un accordo. Ci può essere anche un confronto aspro e serrato, nel riconoscimento delle diversità. E ci deve essere, come la lettera di Benedetto XVI dimostra, la presa in carico di misurarsi con contestazioni radicali, che qualche volta rischiano di essere anche schematiche o superficiali».
Come si svilupperà il confronto di oggi?
«È stato concepito su tre livelli. Il primo è il nostro, mio e di Scalfari (Sorride, ndr). Quello dei cardinali…».
Cardinale Scalfari?
«Cardinale laico, allora. Lui ha scritto più di una volta su di me, perché leggeva sempre i miei interventi sui giornali».
Di che cosa parlerete?
«Faremo il cappello introduttivo. Quindi toccherà ai direttori dei giornali nei due livelli riservati all’approfondimento. Io affronterò l’informazione religiosa, e vorrei anche criticare un certo stile. Poi mi piacerebbe soffermarmi sulla nuova modalità di comunicazione introdotta da Papa Francesco».
Bergoglio ha una presa incredibile sulla gente.
«Se legge i discorsi di Francesco, lui procede sempre per coordinate. Mentre Benedetto è il trionfo della subordinata: che è la cosa che piace a noi. Diciamo piace a me. Ma quando Bergoglio è alle prese con una frase scritta, articolata, allora taglia, si mette a spiegarla. La ripete quasi in maniera brutale: “Mai più la guerra!». Oppure: “L’odio no!”».
E poi segue l’immagine. È così?
«Segue il simbolo. Una componente capitale del linguaggio. Chi è capace di usare bene i simboli, convince. Ad esempio, questa storia delle “periferie” di cui parla il Papa, è un simbolo. E così l’“odore delle pecore”».
O l’immagine dell’intervista concessa alla Civiltà Cattolica: «Vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo la battaglia».
«È vero, più di così… Ma guardi, Cristo per comunicare ha già usato la televisione e i tweet. E i suoi discorsi sono redazionali, perché mettono insieme delle frasi ».
In che senso?
«Il Discorso della montagna. Si tratta di una serie di interventi che Gesù ha fatto in momenti diversi: 35 parabole. Che cos’è questo, se non televisione? Oppure il figliol prodigo: che fugge, mangia coi porci, se la gode con le prostitute, poi torna. Ci si legge una sceneggiatura».
E i tweet?
«La prima predica di Cristo, se stiamo al testo greco, in Matteo, è in poco più di 30 caratteri, con gli spazi arriveremo a 40. Con Marco, un po’ più lungo, arriviamo a 70-80. Sono tweet. E c’è tutto. La prima predica è la dimensione teologica in due parole: “Il regno di Dio è vicino. Convertitevi”».
La Chiesa dunque dovrebbe essere facilitata. E invece a volte sembra non farsi comprendere.
«Questo è il compito. La Chiesa invece si è dispersa».
Però, adesso, con Francesco, c’è uno scarto.
«C’è uno spirito nuovo. Le racconto un aneddoto. Un paio di settimane dopo il Conclave, camminavo sul Lungotevere. Un’auto accosta sotto i platani, un uomo tira giù il finestrino e mi fa: “Ah, la conosco. Guardi, sono ateo, però le dico: siete stati bravi, avete fatto in fretta, avete fatto un Papa davvero in gamba. Io continuo a non credere in Dio. Però… comincio ad avere qualche dubbio sull’esistenza dello Spirito Santo”».
La scelta caduta su Bergoglio ha colpito. Con noi giornalisti dialoga a tu per tu in aereo. Si confronta in maniera epistolare con Eugenio Scalfari. Concede interviste. E anche Benedetto XVI, con la sua lettera in risposta al libro di Odifreddi si apre al confronto.
«Al fondatore di Repubblica voglio dire questo. Una volta l’ho visto in tv affermare: “Io e Calvino quando siamo arrivati alla maggiore età abbiamo scoperto Atena, e siamo diventati suoi discepoli”. Voleva dire, della ragione. Ecco, lui lo diceva come alternativa rispetto alla fede. Ma allora sono per metà pagano anch’io, metà ateo, perché anch’io sono un devoto di Atena. Da studente, anzi, avevo una passione straordinaria per Platone. Questo per dire che nell’esperienza di uno che crede, la ricerca di senso non si esaurisce con la fede. Atena non è alternativa a Cristo. E vorrei dirgli un’altra cosa: Scalfari dice che non cerca Dio. Però riterrei più significativo che, se vuol essere discepolo di Atena, dovrebbe invece cercarlo. Perché se si pone quelle domande, sono domande teologiche».
Allora c’è meno diffidenza, oggi, fra i nostri due mondi, quello dell’informazione e quello della religione?
«Molti vedevano l’esistenza di un’incompatibilità, qualche volta reciproca: perché il giornalista aggrediva e quell’altro si rinserrava. Ma ora si è girata pagina. E questo è un altro merito da ascrivere a Papa Francesco. Sono convinto che senza il confronto con l’area della comunicazione, o sei in una catacomba, oppure fuori del mondo. Mentre il cristianesimo sta dentro il mondo. L’atmosfera è cambiata: puoi anche dire che non ti interessa la televisione, ma è ormai la televisione che ti attraversa, tutto è ritmato dall’online. La Chiesa non può restarne fuori».